7.7.12

Eurosatory 2012


Rieccomi, ed ora che sono in vacanza, nel "solito posto" tra Abruzzo e Marche, mi prendo un po' di tempo per aggiornare il Blog. Lo faccio con un argomento un po’ particolare e che magari può interessare il mio tipico lettore. Se comprate riviste o leggete rubriche Online relativamente alle tecnologie legate alla difesa, sicuramente in questo periodo vi sarete accorti che ci sono molti articoli relativamente alla Fiera parigina di Eurosatory 2012. Eurosatory 2012 è una biennale che si tiene all’Expo di Parigi, accanto all’Aeroporto “Charles de Gaulle” e ha come scopo di presentare le tendenze delle tecnologie della difesa terrestre a livello Europeo ed Asiatico. Le maggiori ditte produttrici di mezzi terrestri, armi individuali, elettronica e software dedicato al moderno campo di battaglia si danno appuntamento in questo salone per dettare (o scoprire) le tendenze attuali di queste tecnologie. Non è una fiera aperta al pubblico, ma ci si può accedere solo su invito (o altri sistemi). Si, appartengo ai “altri sistemi”. :)
Il 13 Giugno ho quindi fatto una giornata intera per visitare questa fiera (Da casa mia a Parigi e ritorno, 24 ore non stop: miracoli dei voli low-cost) e avere una visione diretta di certi prodotti che poi utilizzerò nel mio prossimo romanzo. Sono sempre stato convinto che vedere, maneggiare, un oggetto dal vero, sia un metodo molto più efficace per descriverlo che leggersi l’equivalente di 50 pagine di Wikipedia, e vederlo solo in foto. La differenza nella narrazione, a parte i fisiologici limiti di tecnica di scrittura di un autore, si nota eccome da chi ha solo “letto” e chi ha maneggiato dal vero le cose. 
Posso dire che Eurosatory è una fiera molto grossa, ma non enorme. Gli spazi sono obbligatoriamente abbondanti nei vari stand perché quando bisogna esporre delle autoblindo di sei metri di lunghezza ed alte tre, oppure dei carrarmati, si fa alla svelta a realizzare dei padiglioni di svariati centinaia di metri quadrati anche per pochi prodotti. A dire il vero, se si arriva ad Eurosatory e non si ha ben presente COSA si vuole vedere, c’è il rischio di restare abbastanza annoiati e di camminare per ore senza incontrare nulla di veramente interessante. In questi casi una pianificazione di quello che si vuole vedere, a priori, è obbligatoria. Io sono andato ad Eurosatory per tre motivi: 1) vedere le novità relativamente alla robotizzaizone del campo di battaglia 2) vedere le ultime tendenze in generale sui sistemi di “condivisione dati” sul campo 3) maneggiare dal vero la HK MP7.
Il pubblico tipico dell’Eurosatory è formato da gente in giacca e cravatta, militari in uniforme da  cerimonia e troppi gradi multicolori sulle spalline per essere stati dei veri operativi e dei gran giornalisti. Ho riconosciuto due reporter italiani del settore, ma non li ho importunati, anche se sono miei “amici” su Facebook. Come? Le standiste? Assenti: non è il Motorshow. A parte una ragazza molto carina nello stand della Raphael (società israeliana), sostanzialmente non ci sono “donne immagine” all’Eurosatory.
Prima di iniziare a parlare dell’Eurosatory per quello che è stata la mia esperienza specifica, e magari con un punto di vista diverso da quello che troverete sulle riviste di settore, anticipo qualche nota di colore.
Gli stand italiani erano molto grossi e ben realizzati. La presenza italiana nei vari settori strategici dell’industria bellica era ben rappresentata con Finmeccanica, Beretta, OTO ed IVECO. Tutti tranne IVECO avevano un simpatico modo di fare con i frequentatori dei loro stand: un pezzo di Parmigiano Reggiano e un calice di vino. Italian Style…
Stand Beretta: un ARX160 in versione "solo ed esclusivamente da fiera"

Enormi gli stand cinesi, indiani e pachistani. Ormai i soldi, la liquidità del pianeta, è là. La vivacità delle loro industrie, ormai non più legate a far cloni di bassa lega di prodotti militari occidentali, ha raggiunto livelli “preoccupanti” di realizzazioni tecniche. Certo: non sono ancora a livello degli USA o Europa su alcuni prodotti specifici, ma stanno facendo soldi, Know-How e tessendo contratti. Ormai il sorpasso è vicino tra pochi anni.
Assenti grandi marchi di armi americani come Colt o Bushmaster. Presenti invece i canadesi con le loro repliche di M4/AR15 clone in tutte le salse, dimensioni ed accessori.
Grandissima attenzione per i sistemi “trasportabili” di sorveglianza radar terrestre e tantissime proposte di camere termiche per armi e sorveglianza, la FLIR con uno stand enorme pieno di notevoli proposte per armi individuali.
I francesi, anche se padroni di casa, relativamente sottotono con i loro prodotti. 
Tutte le proposte di UAV/UCAV Europei erano dei Mock-Up (modelli in scala, anche 1:1). Gli israeliani, i pachistani, cinesi e indiani presentavano i loro modelli esposti veri.
Gli Ucraini sono tornati alla grande nel mercato dei MBT (Main Battle Tank) con poderose riproposizioni moderne del T90. I Russi stanno rialzando la testa coi blindati e trasporto truppe corazzati in genere.
Ma ora parliamo dei prodotti su cui mi sono soffermato maggiormente.

1) Recon Scout XT Micro robot tattico da ricognizione
Questo micro UGV da ricognizione che aveva attirato la mia attenzione già due anni fa alla sua nascita, e di cui fa una piccola comparsa nelle prime pagine del mio romanzo “Futuro Ignoto” in mano al GIS dei Carabinieri, si è molto evoluto. Diciamo subito a cosa serve: è un sistema telecomandato via radio che riporta all’operatore, su una piccola console di pilotaggio, immagini e suoni in tempo reale con una trasmissione criptata. Il sistema ha riscosso un enorme successo presso i reparti americani, e i Marines hanno commissionato un ordine di 5.000 pezzi. A dire il vero, nonostante il prezzo che si aggira tra sistema di controllo e robot a circa 5000 € iva esclusa, è considerato una tecnologia “spendibile”. Ovvero, se il robot viene smarrito/dimenticato/distrutto sul campo di battaglia, non è considerato un danno enorme. 
Il robot si presenta come un cilindro di 40mm di diametro, dotato di due ruote gommate dal design “a ciglia” a trazione indipendente, sull’estremità dello stesso
. e una coda stabilizzatrice. A parte il cilindro centrale, che è realizzato in alluminio verniciato, il resto dei componenti è di gomma e plastica. Dal cilindro partono due “baffi” di una quindicina di centimetri di lunghezza che rappresentano le antenne di trasmissione/ricezione. La banda radio su cui lavora questo sistema UGV è un parametro riservato, ma se le antenne sono di quindici centimetri, e deve essere utilizzato in ambito prettamente urbano (muri, strutture metalliche in abbondanza), chi di voi è un radioamatore ha già capito su che lunghezza d’onda lavora. ;-)
Sul corpo del cilindro sono presenti quattro LED infrarossi e il sensore CCD, più un buchetto che funge da microfono direzionale. La console di comando è un parallelepipedo di lamiera nera, su cui svettano due antenne gommate e un display LCD in bianco e nero. A parte qualche aggancio per jack per le cuffie e per trasmettere l’immagine su un monitor esterno analogico ed il “joystick” di controllo, la selezione dei canali radio (quattro) non presenta altri comandi. L’immagine trasmessa del robot è di tipo “quasi grandangolare” e relativamente di buona qualità, per quanto in toni di grigio. La risoluzione stimata è di 640X480 e un frame rate di 25 fotogrammi al secondo, in condizioni ideali. Stiamo parlando di tecnologie che sono, a livello di qualità visiva, come quella di uno smartphone di 3-4 anni fa, solo che l’immagine, ripeto, è monocromatica.
Allo stand della RECON ROBOTICS sono gentilissimi e appena vedono che già conoscevo il prodotto, mi lasciano a disposizione la gentilissima Sig.ra Elisa, del commerciale Italia, che mi illustra con dovizia di dettagli il robot e mi fa fare numerosi test pratici. Vorrei far notare che questo robot da ricognizione è stato valutato a suo tempo dai nostri Reparti Speciali, ma non è stato valutato come “utile sul campo di battaglia”, senza fornire ulteriori dettagli. Utilizzando il robot penso anch’io di capire dove risiedono i potenziali difetti, che discuterò alla fine di questo articolo.
Il robot è dotato di numerosi accessori aggiuntivi: carica batteria da campo (una batteria pre-caricata a cui agganciarlo in assenza di energia elettrica esterna), zainetto da trasporto, un aggancio su rail picatinny per agganciare il robot di fianco alla canna del fucile ed utilizzarlo per ispezionare dietro gli angoli esponendo solo l’arma. Un supporto estensibile per impiegarlo per esaminare i veicoli nella parte inferiore e anche una corda di nylon per recuperarlo.
Il robot s’impugna per il corpo cilindrico e lo si attiva togliendo la sicura ad anello (esattamente come i vecchi tipi di granate a mano) e dopo 4 secondi è operativo. Il peso è di 540gr. E’ stato progettato per essere lanciato esattamente come una bomba a mano dentro stanze, finestre, dietro angoli etc…etc… Può reggere urti di “atterraggio” fino a cinque metri di altezza su una superficie rigida. Una volta atterrato servono dai due ai sei secondi affinché il robot si posizioni con la coda sulla superficie, capisca se l’illuminazione è tale da indurlo ad attivare i LED IR, ed inizia a trasmettere immagini e suoni in streaming. Fatto questo l’operatore usando un “thumb-joystick” analogico esattamente come quello della Playstation, può manovrare il robot e vedere l’ambiente in cui è dalla prospettiva “da terra” con un angolo verso l’alto di circa 45°. A questo punto si fa “gironzolare” il robottino dove serve mentre, con cuffie indossate, si possono ascoltare i suoni ambientali.
Lo stand della Recon Robotics proponeva questa prova ai suoi potenziali clienti: avevano costruito una struttura alta due metri e mezzo circa che simulava il piano di una casa. All’interno è completamente buio. Mi hanno dato un Recon Robot in mano e mi hanno chiesto di farlo uscire da questa “casa” simulata e di descrivermi cosa vedevo al suo interno. Prendo il robot, gli tolgo la pin  di sicura, e lo lancio dentro la finestra coperta da una tenda nera. Controllo sulla console di comando e vedo apparire l’immagine grigio/nera/azzurra della “stanza”. Mi giro attorno. La risposta tra il mio comando e l’immagine è decisamente rapida: stimo 1/8 di secondo. Guardandomi attorno con gli occhi del robottino vedo che sul soffitto ci sono una serie di frecce bianche che indicano la fine della stanza. Le seguo e c’è una piccola rampa di scale. Dato che il robot è in grado di fare le scale, ma solo in discesa, lo faccio volare giù  a tutta velocità (tanto è anti-urto, no?) dalle scale. E me lo vedo apparire alla base della casa dove viene recuperato da un tizio dello stand. (vedere video allegato). Metto il robot sul pavimento e valuto la qualità del microfono: eccellente. Praticamente amplifica i rumori ambientali, anche a circa 7-8 metri di distanza in un cono relativamente stretto davanti a lui. Potevo sentire le chiacchiere di due persone che erano fuori dallo stand, se orientavo correttamente il robot. Ok, prova realizzata in condizioni ideali, non c’è dubbio, ma il “concetto” di “expendable robot” c’è, eccome. E stiamo parlando di un prodotto realizzato con tutte tecnologie civili “off the shelf”. La velocità del robot su terreno “liscio” è di circa 4-6 km/h e l’autonomia sul campo continuativa è di circa un’ora.
Sono convinto che utilizzerò questo robottino estesamente nel mio prossimo romanzo.
Vantaggi del sistema:
1) Il robot è veramente di dimensioni minuscole: di notte è praticamente impossibile vederlo anche a distanze minime
2) La consapevolezza della situazione è la chiave per la sopravvivenza sul campo di battaglia. Questo robot da ricognizione tattica da la possibilità di sapere PRIMA di agire cosa c’è dentro una stanza, dentro un edificio, dietro un angolo. Permette di esplorare, sentire, un ambiente. Anche in condizioni di scarsa luce ambientale. Il tutto per poter dare dati per poter giudicare la situazione in atto e prendere la corretta decisione. Tutto in tempo reale.
3) Il sistema, tenendo conto di cosa offre, è possibile considerarlo come “economico”.
4) Se si usa con giudizio, il sistema è riutilizzabile e reimpiegabile per più missioni.
5) Facile da usare. Intuitivo. Non ha bisogno di preparazione.
6) Semplice da trasportare e leggero.
7) Spendibile. Se viene distrutto oppure se viene “rubato” da personale ostile, non è una tragedia. Nessuna tecnologia sensibile è esposta con questo robot.
Ma veniamo ai potenziali difetti:
1) Il robot è rumoroso. Mi spiego: ha lo stesso identico rumore di un radiomodello d’auto hobbystico elettrico radiocomandato (e la componentistica è la stessa). In una situazione tattica con suoni di esplosioni esterne, spari, urla etc…etc… la sua segnatura sonora è irrisoria, ovvio. Ma in un contesto tattico in cui abbiamo un barricato in un appartamento, in silenzio, oppure una casa con all’interno dei soggetti ostili nascosti (quindi in silenzio), questo ronzare elettrico che gironzola nelle stanze si sentirebbe, eccome. O si usa come strategia di coprire il suo rumore con una diversione (nelle operazioni anti-terrorismo con barricati per coprire le unità di ricognizione ne hanno inventate di tutti i colori: dagli stereo a manetta, inventarsi lavori stradali improvvisati con uso di martelli pneumatici al far volare jet militari a bassa quota), oppure è decisamente percepibile.
2) Non sa salire le scale. Certo che il robottino che sa salire delle scale lo devono ancora inventare, ed infatti questi UGV da ricognizione urbana sono tutti visti ancora come dei “giocattolini” dagli operatori per questo motivo. Non poter far le scale è, in ambito urbano, una limitazione enorme.
3) Nonostante i video pubblicati sul sito del produttore, questo micro-UGV è inutile in un bosco. Si pianta subito. Al massimo gironzola sulla ghiaia fine e l’erba ben tagliata. Sulla sabbia non oso nemmeno pesarci con quella coda stabilizzatrice… Gli UGV cingolati hanno maggiore capacità motorie, ma sono anche più grossi, più costosi e più complessi, però…
4) Un’ora di autonomia è poco. Ma ci stanno lavorando sopra.
5) Non è dichiarato da nessuna parte, ma sembra dalla costruzione come antipioggia. Però se trova una pozzanghera profonda, temo che ci siano dei problemi ad attraversarla. 
6) La portata massima reale operativa in ambito urbano non è stata dichiarata. Stimo 70-150 metri, ma è una mia personalissima valutazione data da conoscenza sistemi precedenti simili.
Nonostante questi difetti, però, credo che sia un oggetto utile per tutti gli altri casi di ispezione stanze. Penso che potrebbe essere un ottimo attrezzo per il Silent Team (squadre speciali per ricognizione multimediale di un obbiettivo in ambito urbano) del GIS dei Carabinieri.


2) Condivisione dei dati sul campo di battaglia 
Da anni si cerca di dare forma e standard a quella che è definita la “network centric warfare”. Ovvero la capacità di acquisire, gestire, DISTRIBUIRE i dati sul campo di battaglia a tutte le unità coinvolte, dai Comandi posti nella Nazione d’origine, all’ultimo soldato impegnato in prima linea. Per “dati” s’intende qualunque cosa: da un ordine, a un’informazione d’intelligence aggiornata, ad una fotografia di un obiettivo allo streaming video di un attacco in corso, una richiesta di supporto aereo in emergenza. Il vero problema delle strutture militari NATO è questo: saper gestire le informazioni.  Abbiamo Eserciti che sono strutture logistiche ed operative troppo complesse ed articolate per potersi muovere “in autonomia”. La “consapevolezza della situazione” è cruciale, specialmente in un sistema di regole d’ingaggio in cui i soldati NATO devo chiedere sempre l’autorizzazione a comandi non presenti immediatamente sul campo per aprire il fuoco (solo per fare un esempio scemo). Le nuove tecnologie informatiche, spesso di derivazione civile, hanno permesso negli ultimi quindici anni di aumentare enormemente la condivisione delle informazioni sul campo di battaglia. Si sta QUASI per arrivare all’obiettivo in cui il Generale che sta in America è in grado di vedere e di interagire anche con l’ultimo fante che si trova a 100 metri di distanza da una postazione talebana. QUASI. Perché nelle simulazioni nelle Brigate di test negli USA funziona sempre tutto, in Afghanistan sul campo, un po’ meno. Ma sono stati fatti, ripeto, enormi passi in avanti. In tal senso gli Israeliani sono sempre stati dei pionieri di queste tecnologie. Essendo una struttura militare relativamente piccola, per le potenziali minacce che circondano il loro territorio, basano moltissimo sulla tecnologia informatica della condivisione delle informazioni la loro efficacia sul campo. Tutti questi sistemi vengono poi riproposti agli USA oppure, in forma depotenziata, alle Forze di Polizia occidentali.
Gli stand israeliani si distinguevano dagli altri per dimensioni e per design. Molto ampi, molto belli, molto ricchi. Uno stand dove mi sono soffermato è stato quello della ELBIT che esibiva il suo sistema SKEYE. Nei loro enormi stand erano stati organizzati dei piccoli teatri, con tanto di poltroncine per il pubblico, con finta sabbia e sacchetti di sabbia per fare un po' di atmosfera da FOB. Sul palco quattro ragazzotti vestiti in ACU americana davanti ad una postazione con N schermi LCD che rappresentano i sistemi di sorveglianza venduti dalla ditta. I ragazzotti recitano in tempo reale con in sottofondo musica stile Hans Zimmer. La scena a cui il pubblico assiste è la seguente:
- Un veicolo corazzato sospetto viene intercettato da dei sensori piazzati sul terreno, attraversare il confine. Il capo dei regazzotti, che sono super coordinati tra loro, deviano un UAV che era già in volo sulla zona per avere conferma visuale dell'intruso, mentre contemporaneamente si collegano in videoconferenza con il comando centrale per avvertire della cosa. Lo UAV manda in tempo reale un video-feed del veicolo corazzato, che viene interrogato elettronicamente, ma nessun apparato IFF da risposta. Da un database in meno di dieci secondi devono capire se il veicolo fa aprte di un'azione prevista di mezzi alleati. Appena l'esito della ricerca è negativo (intanto la musica segna un ritmo di maggiore tensione), il capo dei ragazzotti ha uno scambio di valutazioni in videoconferenza con un colonnello che li autorizza, nel giro di due minuti (tutta la scena è cronometrata) ad ingaggiare l'intruso.
Si fa decollare un Apache che dichiara che sarà a portata di Hellfire dal bersaglio in tot minuti. Intanto lo UAV non molla un secondo il veicolo che si ostina a penetrare il territorio amico. I ragazzotti sono sempre più tesi, ma professionali (erano anche bravi come attori, tenendo conto che ra tutto live-action...). L’Apache dichiara di essere dietro una collina dal bersaglio. Il capo dei ragazzotti da l'ordine di marcare con un laser dall'UAV il veicolo. Lo UAV manda le coordinate automaticamente all'elicottero, che lancia il missile da dietro la collina (tutte queste scene erano un mix di filmati di repertorio e CGI decente ad hoc). Il missile appena "scollina" acquisisce il laser dello UAV. Quindi si scaglia sul veicolo nemico distruggendolo. Lo UAV da conferma della distruzione totale del veicolo. Viene ordinato di organizzare una pattuglia elitrasportata per andare ad investigare il relitto del veicolo. Fine missione.
A quel punto luci spente, il "capo" dei ragazzotti sale su un palco più alto (e si prende gli applausi del pubblico) e davanti ad una presentazione di Power Point sparata su un muro enorme commenta e dettaglia tutte le fasi della "scenetta" a cui si è assistito. Spiegando sistemi, metodi, vantaggi di questo sistema (lo SKEYE) venduto da questa ditta israeliana.
Se non è marketing spinto questo...


Immagine rubata col mio Smartphone alla presentazione della ditta Israeliana

3) HK MP7 A1
Lo stand della HK era un po’ sottotono, tenendo conto di che brand stiamo parlando. Forse l’Eurosatory non è considerata per questa casa costruttrice di armi un obiettivo di vendite strategico?
Comunque stand “piccolino”, un paio di commerciali annoiati e tutte le loro armi esposte su un muro, che si potevano maneggiare. In queste occasioni, specie in fiere aperte al pubblico “normale”, le armi esposte sono “vituperate manualmente” dai curiosi di turno. Si vede subito che vanno dalle armi più pubblicizzate nella serie di Call of Duty/Battlefield, poi iniziano il rito: togli il caricatore, metti il caricatore, masturba la sicura, scarrella l’arma, punta ad un bersaglio immaginario (con posture da far ridere i polli che identificano subito queste persone come “keyboard warrior”), clik clak click trak clak… una guardatina alle mire (eh si, proprio come nel gioco!), e poi rimettono l’arma sull’espositore: con sicura disinserita, otturatore chiuso e percussore armato. E’ vero che in tutta l’Eurosatory è impossibile trovare un proiettile vero, ma i professionisti delle armi si riconoscono da questi dettagli: un’arma, dopo che la sia è maneggiata, la si rimette nello stato di massima sicurezza. Quindi percussore scarico e sicura inserita. E se è una pistola col carrello aperto. Ci penseranno gli addetti dello stand a chiudere il carrello, se è il caso. Finito il penoso spettacolo prendo in mano l’MP7, che ho sempre e solo visto in foto. 
L’MP7 fa parte di quella categoria di armi cosiddette Personal Defence Weapon (PDW). Ovvero armi che prediligono la compattezza di dimensioni e l’uso di calibri non esagerati, per la difesa di punto di personale non dotato di fucile d’assalto. Negli anni passati è stata imposta la HK MP5, in tutte le sue varianti, in questa categoria. La HK, a seguito della FN, ha voluto esplorare le capacità balistiche dei proiettili dotati di micro calibri. La FN, nei primi anni ’90, se ne uscì con la rivoluzionaria P90, che sparava una munizione da 5,7mm di diametro con un design particolare nell’ogiva. Prometteva prestazioni di penetrazione balistica fenomenali, nonostante la compattezza della cartuccia. HK, dopo qualche anno, se ne esce con una munizione ancora più piccola: 4,6mm X30, ma con una velocità enorme alla bocca al momento dello sparo. Prove balistiche assicurano che questa micro munizione, entro i 50 metri, è in grado di forare tutti i corpetti antiproiettile –NON dotati di piastre rigide- presenti sul mercato mondiale. Inoltre ha ottime caratteristiche di perforazione di muri e di lamiere d’automobile, oltre che una traiettoria di tiro molto tesa e lineare. Inoltre, data l’elevatissima velocità iniziale, sulla gelatina balistica entro i 50 metri, produce cavità temporanee paragonabili a quelle di una ben più pesante munizione da fucile d’assalto.
Quindi HK propose sul mercato la MP7 come arma delle dimensioni di una pistola un po’ ingrassata, ma entro i 100 metri con letalità paragonabile ad un fucile d’assalto, il tutto unito ad un rateo di fuoco elevatissimo e un rinculo quasi assente. Le Forze Speciali tedesche, in Afghanistan, hanno utilizzato estesamente la MP7, e i risultati di efficacia balistica sono stati verificati.
La MP7 appena la si prende in mano si capisce che è stata un’avventura “basso costo” per la HK. Impugnatura della MARK23, con lo stesso sgancio caricatore, sicura. Da lì hanno incastrato un parallelepipedo in tecnopolimeri con tre “creste” di rail picatinny e un’impugnatura frontale ribaltabile. La leva di armamento è caudale come nei fucili AR15/M4. Doppio grilletto con pre-corsa come la Glock.
Nonostante fosse col caricatore vuoto, si può dire che la MP7 è leggermente sbilanciata in avanti, e in questo caso l’impugnatura verticale frontale risulta utile, nonostante la compattezza generale della pistolamitragliatrice. Il calcio scheletrico telescopico non è un granché in ergonomia: sfugge dall’incavo della spalla. Non so se è stata fatta una versione a calcio fisso della MP7,  ma non sarebbe una cattiva idea. Ok, ci dovrei sparare per capire meglio l’arma, ma in generale l’impressione è buona. Comandi ben pensati e ben raggiungibili, anche per della mani piccole come le mie. Non so come la pensano operatori con le mani a badile e i guanti, ma questo è un ‘altro discorso… L’idea è di robustezza generale e l’ergonomia è buona. Tranne il ri-armamento con quella manetta che ti induce a togliere l’arma dal cono di puntamento frontale .Non capisco perché non abbiano messo una mini leva laterale di armamento reversibile: ma forse avrebbe complicato troppo la meccanica interna. Nella configurazione proposta in fiera, e in tutte le foto che ho visto, la MP7 è sempre proposta con ottiche red-dot: segno che davvero oltre i 100-150 metri non ha senso ingaggiare con tiro discriminante con quest’arma. Il proiettile, avendo pochissima massa, smorza subito la sua velocità dopo tale distanza, ed anche la sua traiettoria perde di linearità, immagino.
La MP7, stando a voci di corridoio, è nei “desiderata” delle nostre Forze Speciali, ma sembra che il prezzo unitario dell’arma, non proprio economica, e soprattutto l’approvvigionamento di un calibro così non-standard (ergo: costose), ne previene l’acquisizione a priori. Sembra che sia presente in pochi pezzi nell’armeria degli Incursori dell’Aeronautica Militare, di cui però non ci sono feedback sull’utilizzo.


Mentre valuto l'ergonomia della MP7