19.12.13

TRAILER - LONE SURVIVOR


A Febbraio 2014 è prevista nelle sale italiane l’uscita dell’atteso Lone Survivor.
Questo film, che è stato oggetto di trattativa economica tra le maggiori case cinematografiche americane per tre anni, è l’adattamento di due libri: Lone Survivor di Marcus Luttrell (pubblicato nel 2009) e Operation Red Wings (pubblicato il 17 Dicembre 2013).
La pellicola narra la vicenda di un team di quattro elementi dei SEALs impegnati in una missione di ricognizione in Afghanistan nel Luglio 2005.
La pattuglia viene compromessa e quindi inseguita ed ingaggiata da decine di talebani. Solo Marcus Luttrell soppravviverà (come suggerisce anche il titolo) e verrà accolto e protetto da una famiglia di un vicino villaggio. Il film narra le due vicende: quella di Marcus e quella della gigantesca operazione per il suo recupero.

Visivamente il trailer si presenta in maniera possente e con un apparente dispiegamento di mezzi militari ed equipaggiamenti autentici. E’ un film molto sentito dalla comunità militare USA, e la collaborazione in termini di uomini, consulenze e mezzi per la sua realizzazione sembra che sia stata enorme.
Avendo letto Lone Survivor colpisce, dal trailer, la location dello scontro a fuoco, che sembra uscito perfettamente dalle pagine del libro di Luttrell. Inoltre l’equipaggiamento che si vede addosso agli attori è coerente sempre con quanto descritto nel libro.
Potenzialmente, dal trailer, sembra un film ben realizzato, uno di quei film di “storia contemporanea” che capitano sugli schermi una volta ogni decennio.
L’unico problema è il regista. Peter Berg ha firmato “““capolavori””” come Battleship ed Hancock ed il linear-fumettistico iper-stereotipato The Kingdom. Non basta affermare che Berg ha passato un anno coi Seals, visitato le famiglie dei caduti e vissuto un mese con Luttrel, pur di prepararsi al meglio per dirigere questo film. Lone Survivor dovrà dimostrare che un regista di film d’azione quasi-spazzatura ad alta tecnologia sa rendere giustizia ad una storia intensa, tratta da eventi realmente accaduti e che è molto attesa dagli americani.
Sicuramente Lone Survivor è un film da andare a vedere.

11.11.13

Nasiriyya

Massimiliano Bruno, maresciallo aiutante, Medaglia d'Oro di Benemerito della cultura e dell'arte
Giovanni Cavallaro, sottotenente
Giuseppe Coletta, brigadiere
Andrea Filippa, appuntato
Enzo Fregosi, maresciallo luogotenente
Daniele Ghione, maresciallo capo
Horacio Majorana, appuntato
Ivan Ghitti, brigadiere
Domenico Intravaia, vice brigadiere
Filippo Merlino, sottotenente
Alfio Ragazzi, maresciallo aiutante, Medaglia d'Oro di Benemerito della cultura e dell'arte
Alfonso Trincone, Maresciallo aiutante
Massimo Ficuciello, capitano
Silvio Olla, maresciallo capo
Alessandro Carrisi, primo caporal maggiore
Emanuele Ferraro, caporal maggiore capo scelto
Pietro Petrucci, caporal maggiore
Marco Beci
Stefano Rolla

Dieci anni dopo.
Una guerra ed un paese, l’Iraq, totalmente abbandonato dai media, che si trova oggi in condizioni di instabilità peggiori di quanto lo fosse nel 2003.

Una strage che ci ha fatto capire, per la "prima" volta nelle storia delle “Operazioni di Pace” che gli italiani sono stati visti come bersagli esattamente che tutte le altre truppe di altre nazionalità. Abbiamo perso quel giorno quello scudo stereotipato del “Italiani Brava Gente”, su cui si sono fin troppo appoggiati Alti Ufficiali per decenni. La Somalia evidentemente, dieci anni prima, non aveva insegnato un bel niente a nessuno, nella catena decisionale ad alto livello.

Dopo questo attentato tutto è cambiato. 
La sensazione immediata, specie negli anni appena successivi a questa tragedia, è stata quella che i vari governi che si sono succeduti, abbiano voluto dimenticarsene. Tanto per cambiare. Di Nasiriyya non si è mai voluto far capire bene agli italiani che cosa facevamo laggiù, così si sono scatenate le peggio ricostruzioni giornalistiche amatoriali. Che dopo dieci anni hanno perso totalmente forza, non perché siano state abilmente insabbiate, ma perché non valevano nulla fin dal principio, dato che erano basate sul nulla. 

Ricordiamo l’eterna diatriba dei familiari dei militari caduti nell'esplosione? La vedova del militare, non sposati, che non poteva percepire la pensione? Oppure il fatto che non sia stata intitolata nessuna lapide commemorativa nei Palazzi del Quirinale a ricordo di questi militari. Tante vie, tante piazze e tanti piccoli monumenti sono stati dedicati a questi Caduti. Ma da Roma, nulla di ufficiale. Vogliamo ricordare i cori terribilmente ridicoli, quando non vergognosi, di qualche manifestante in Italia, che in occasione del corteo 
sulla protesta sociale di turno, urlavano lo slogan “10,100, 1000 Nasiriyya!”. Mi chiedo, dopo tutti questi anni, questi ragazzotti che fine abbiano fatto. Se abbiano preso coscienza di quello che stavano urlando ed il motivo. Perché sul momento, quando gli si chiedeva esplicitamente il motivo di tale frase, ribattevano alle telecamere con idiozie incoerenti che andavano dal petrolio, alla violenza dei Carabinieri negli stadi, il G8 di Genova del 2001, ed il nuovo “neoimperialismo italiano”. Dove siete oggi? Non li fate più i cortei? Oggi servirebbero un sacco di bandiere della pace per l’Iraq (e non solo), che abbiamo lasciato, e che è messo malissimo. Dove siete?

Voglio ricordare quel giorno, il 12 Novembre 2003, con un gesto fatto da una persona comune. Alle 11 del mattino venne data la notizia sui media che una grossa esplosione era avvenuta presso la base del contingente italiano dei Carabinieri in Iraq. Verso le 14 si ebbero già le prime notizie sulla portata del numero di vittime. Alle 15 vidi una signora anziana portare un mazzo di fiori davanti al cancello della Stazione dei Carabinieri della frazione di Parma dove abitavo allora. Uscì subito un Brigadiere che prese il mazzo di fiori e ringraziò la signora. Due ore dopo il cancelletto di ingresso era ricoperto da mazzi di fiori. Il giorno dopo misero un piantone in uniforme a sorvegliare, raccogliere e disporre ordinatamente la moltitudine di mazzi di fiori sul muretto della caserma che la gente portava incessantemente. Quei mazzi di fiori riposarono sul muretto per una settimana, sovrastati da una bandiera italiana a mezz’asta. 

Presenti.



2.10.13

Tom Clancy: addio al Signore del Techno-Thriller

Tutti abbiamo avuto una persona che ci ha ispirato.

Un cantante, uno sportivo, un personaggio di fantasia. Nel mio caso specifico Tom Clancy, attraverso i suoi scritti, mi ha ispirato e motivato in molti eventi della mia vita. 

Ovviamente in quello di cercare di diventare scrittore.

Avevo diciassette anni quando presi in mano la prima copia, edita dalla Rizzoli, di “La Grande Fuga dell’Ottobre Rosso”. Era la fine degli anni ’80, e la Guerra Fredda era prossima alla fine, ma non era conclusa. Mi immersi letteralmente in quelle pagine fatte di personaggi coraggiosi -ma anche molto umani-, di tattiche di guerra sottomarina, di infinite descrizioni tecniche, di colpi di scena. Quel libro è ancora nella mia libreria: ha le pagine ingiallite. Rileggendolo oggi tutti i suoi difetti emergono. Una traduzione in italiano non particolarmente brillante, uno stile abbastanza monotono di scrittura e forse una trama fin troppo lineare. Ma l’idea, l’ambientazione, alcune sequenze narrative, sono entrate nel culto della letteratura techno-thriller. Si, quel genere letterario che lui ha inventato. Un mix, non sempre perfettamente bilanciato, di informazioni tecniche militari, personaggi buoni e personaggi cattivi. Se i cattivi non erano i Russi, i cattivi erano qualche gruppo estremista.  Qualche anno fa c’era un sito web con un “generatore di trame di romanzi di Tom Clancy”. Sostanzialmente sparava fuori a caso termini come “Atomic Bomb” “Russian” “Submarine” “Terrorist” “CIA” ricombinando ogni volta in modo differente. 

Coloro che criticavano negativamente Tom Clancy si dividevano in due categorie: chi non aveva mai letto nemmeno una pagina dei suoi libri, ma affermava che era “roba da fascisti”. Oppure coloro che dicevano la stessa identica cosa, ma lo leggevano di nascosto. Un po’ come la pornografia: nessuno la guarda, ma ha un mercato enorme.

Qualche anno dopo. In una branda di una caserma. Luci spente dopo il contrappello, e una torcia accesa. Io che leggo per la seconda volta di seguito Clear & Present Danger (“Pericolo Imminente” nella versione italiana). Quante volte mi sono perso nella giungla colombiana leggendo le sequenze di combattimento notturno  della fanteria contro i narcotrafficanti.

 Tranne i primi due romanzi, ho sempre letto in lingua originale tutti i libri di Tom Clancy, per evitare di imbattermi nelle traduzioni delle case editrici italiane, che per quanto fossero molto curate nelle ultime edizioni (avevano la consulenza di militari italiani per le traduzioni, con tanto di nomi e cognomi e grado citati nel frontespizio dell’edizione italiana), non permettevano di cogliere tutte le sfumature dello stile di Clancy. Però possiedo anche tutte le edizioni italiane, perché negli anni me le hanno regalate, e stanno bene nella collezione.
Non era un autore per tutti, non è un genere per tutti. Eppure ha avuto un enorme successo planetario. Parliamoci chiaro, alcuni libri erano la massima espressione dell’edonismo Reganiano alla massima potenza. Quasi surreali alcuni personaggi di secondo piano dei suoi romanzi, da quanto erano stereotipati. E poi, nonostante le bastonate, l’America doveva sempre trionfare. Alla grande.

Appunto perché riconosco i difetti dello stile, la “banalità” in certi casi della trama di alcuni suoi romanzi, per me rimane un autore che ha segnato il ventesimo secolo. 

Persona schiva, un po' ruvida nel carattere, che però non aveva paura ad esprimere le sue opinioni. Nel 2003, all’alba delle operazioni in Iraq e all’apice assoluto del suo successo, disse pubblicamente che l’Amministrazione Bush stava sbagliando ad invadere di nuovo un paese del Medio Oriente. Scomparve. Venne cancellato. I militari, a livelli politici, che sempre erano stati la sua spina dorsale del marketing, lo isolarono. Clancy, che aveva già investito le sue fortune nello sport e nella creazione di una casa di videogiochi, si dedicò per anni a sviluppare le trame di quest’ultimi. Ditemi chi non ha mai giocato ad una delle decine di versioni Rainbow Six.

Clancy smise sostanzialmente di scrivere. Creò nuovi “universi” e differenziò l’offerta dei suoi romanzi con nuovi scenari, creando collaborazioni con scrittori più o meno talentuosi. Nacquero le serie Op Center, Net Force, Politika! Quasi una versione semplificata, e per ragazzi, dei suoi romanzi “originali”. 
Tom Clancy cercò, quindi, di tornare alla ribalta con romanzi scritti quasi completamente da lui. Furono dei flop commerciali. Clancy era un “dinosauro della Guerra Fredda”. Non riuscì mai efficacemente a creare un ambiente decente per i suoi personaggi nell’America del post Undici Settembre.  Aveva perso, all’apparenza, la freschezza delle idee, la situazione geopolitica intrigante, le sequenze tecniche descritte in modo magistrale dei romanzi quasi vent’anni prima. Il mondo era cambiato, e lui cercava ancora di far muovere il gigante America, contro la nazione cattiva di turno.  Nel mentre i suoi lettori si erano evoluti, preferendo i nuovi autori che si erano formati nello stesso genere. 

Però stiamo parlando di un uomo, che non ha mai fatto il servizio militare, e che ha visto il suo primo manoscritto “The Hunt for the Red October”, rigettato dalle case editrici decine di volte. Ma non si è mai dato per vinto, ha continuato a vendere assicurazioni per la vita e per le case, finché un giorno ha fatto leggere il suo manoscritto ad un alto ufficiale della Marina Americana, che lo trovò subito strepitoso e lo aiutò di fatto a farlo pubblicare. Clancy, come ho accennato prima, è sempre stato il miglior “spot per il reclutamento” della Forze Armate USA. Molto curati, e per certi versi molto più interessanti di alcuni suoi romanzi, i suoi scritti monotematici su un’Arma degli Stati Uniti, oppure le biografie di alcuni generali. Clancy ha sempre dimostrato la capacità di saper unire conoscenze enciclopediche personali sui sistemi d’arma NATO con una buona capacità di saper avvicinare la persona giusta, nel Reparto militare giusto, per integrare le informazioni che gli servivano per un romanzo. In molti romanzi ha di fatto anticipato tecnologie militari che sarebbero entrate in servizio dopo qualche anno dalla pubblicazione del romanzo.  Oggi sembra una cosa banale, ma negli anni ’90, senza Internet, era una cosa ardua da realizzare. 

Stando a quanto hanno raccontato negli anni altri autori che hanno avuto l’onore di conoscerlo e frequentarlo, Tom Clancy era una persona molto intelligente, grande ricercatore, ma con un carattere alquanto difficile. I suoi agenti letterari facevano molta fatica ad andare d’accordo con lui, e si dice che fosse spesso rude e maleducato con i fan quando, molto controvoglia, era costretto a presentare un libro e fermarsi per gli autografi di rito.

Tom Clancy è morto nella sua Baltimora oggi, e con lui se ne va un pezzo della letteratura moderna che sicuramente sarà ricordata e studiata nei prossimi decenni. 
Ha realizzato il grande sogno americano, partendo dal niente, e finendo per essere ricordato nella letteratura moderna. Ricco sfondato, che non guasta mai. 
Il termine “Tom Clancy” è diventato un modo per indicare un genere letterario. “E’ un romanzo alla Tom Clancy”. E quando diventi un metro di paragone, un aggettivo, hai davvero fatto la Storia.
Goodbye Mr. Clancy, Thank You for inspiring me.

10.9.13

9/11 Never Forget



9/11 NEVER FORGET
-Riflessioni casuali ed eterogenee sull'11 settembre 2001-

Chi ha vissuto l'11 di Settembre 2001 sa di aver assistito ad un punto cruciale della Storia.

Il 24 Agosto 2001 ero sul percorso turistico sul tetto della Torre Sud. Ingabbiato nelle alte recinzioni, alzate di qualche metro ogni anno, per impedire che qualcuno facesse dei suicidi coreografici (decine di persone lo hanno fatto) oppure per evitare i gesti eclatanti dei "base jumper" provenienti da tutto il mondo. Su quell'enorme tetto, sferzato da un vento vigoroso e gelido, mi ero perso ad osservare le strade di Manhattan viste da quella prospettiva privilegiata. Non ero solo: c'erano almeno duecento persone in quel momento che stavano facendo la stessa cosa. 
Vedere quella matrice di strade ortogonali, riempite dai punti gialli dei numerosissimi taxi, che si immettevano nel flusso delle strade principali, che si fermavano, che ripartivano, mi avevano subito dato 
l'idea di un organismo vivente nelle cui vene scorrevano globuli gialli. 
Nel 2001 esistevano già le fotocamere digitali compatte, ma avevano una qualità non eccezionale, ed erano oltremodo costose. Quindi all'ultimo piano della Torre un enorme laboratorio fotografico garantiva lo sviluppo di rullini in quindici minuti. Gli addetti erano tutte ragazze afroamericane.
Ma non voglio parlare di questo. 

Dopo dodici anni si può azzardare un'analisi e delle conseguenze di quel giorno che segnò la vita di milioni di persone in tutto il mondo.
Non voglio analizzare i risvolti politici e geostrategici scatenati da quell'evento. Direi che da come si sono evolute le cose in Medio Oriente e non solo, nessuno, nemmeno chi avrebbe dovuto avere "una visione 
chiara" della faccenda, è riuscito a capirci qualcosa.
Vorrei parlare dei conseguenti fenomeni culturali che si sono scatenati successivamente, alcuni davvero molto difficili da comprendere e giustificare.

Partiamo dal primo.
C'è sempre stato il "bastian contrario". Qualcuno che, attraverso l'analisi alternativa di dati ed eventi storici, propone una lettura di alcuni episodi storici sotto una chiave di interpretazione diversa. Dagli argomenti più seri, ai fatti di relativo interesse culturale.
"L'Olocausto non è mai avvenuto", "l'uomo non è mai andato sulla luna", "Elvis Presley è ancora vivo"  etc...etc... 
Lo shock dell'11 settembre fu così potente a livello mondiale che immediatamente la gente cercò di informarsi di come mai gli Stati Uniti, ovvero la nazione ritenuta al tempo la più potente al mondo, potesse essere vittima di un tale disastroso attentato di proporzioni immani. 
Solo le modalità dell'attentato fecero meravigliare tutti. La realtà aveva di gran lunga superato la fantasia. Il famoso scrittore Tom Clancy venne quasi messo "sotto accusa" perché nel suo romanzo Debito d’Onore 
descriveva un attacco del genere in cui un aereo di linea veniva dirottato ed inceneriva la Casa Bianca (in un contesto di rivalità contro il Giappone, ma è un altro discorso). Poi scavando un po' nei fatti si scoprì che l'idea non era tanto nuova tra le fazioni terroristiche di matrice islamica. Nel 1994 gli attentatori di Marsiglia volevano decollare di nuovo e far schiantare l'aereo sequestrato sul centro di Parigi. Nel 1998 il ramo integralista della guerriglia islamica Moros Moros del Sud delle Filippine aveva elaborato un piano per sequestrare undici aerei di linea sul Pacifico e farli tutti schiantare su bersagli occidentali nella zona. Quindi l'idea di usare aerei di linea come missili tattici, nel 2001, non era affatto una novità. Eppure prese in 
totale sorpresa la CIA, i Servizi Segreti e qualunque altro organo governativo preposto a prevenire certe cose. 
Molti non vollero arrendersi all'evidenza che la CIA è semplicemente un ente politico, estremamente burocratizzato, e lentissimo a rispondere a qualsiasi analisi di minaccia terroristica. Lo era nel 2001, la rimase per tutto il decennio successivo. L'Attentato alle Twin Towers è avvenuto perché decine di persone, a tutti i livelli della CIA, non furono in grado di fare "squadra" e condividere ed analizzare assieme  numerosi indizi che indicavano che nel 2001 ci sarebbe stato un attentato di proporzioni enormi sul suolo americano. 
Di fronte a questa sconfortante verità, per certi versi inaccettabile, alcune persone decisero, in modo indipendente, di dare una spiegazione alternativa all'11 Settembre. Passando da interpretazioni che ignoravano qualsiasi conoscenza di base di aeronautica, ingegneria civile, esplosivi e geopolitica, divennero molto famose delle tesi amatoriali come spiegazioni alternative, ma definite come censurate dal Governo Bush. 
In sprezzo totale alle 2996 vittime di quel giorno, numerose case editrici, canali TV, rotocalchi, diedero spazio a queste teorie alternative sulle cause dell'11 Settembre. Ma la cassa di risonanza a livello mondiale di certe teorie fu Internet. Quando un premio Nobel per la Letteratura, al tempo quasi settantenne, si presta per far da testimonial per la diffusione di simili scemenze scientifiche, il declino culturale di una civiltà è già cominciato. 
L’11 di Settembre, col proliferare delle Teorie della Cospirazione ad esso associate, segnò un punto nodale nella diffusione delle informazioni e nella percezione che la gente comune aveva di Internet. Se è su Internet, è per forza vero. Si diceva così, anni prima, anche delle notizie sulla carta stampata e poi in TV. 
Internet ha dato la possibilità ai più abili manipolatori di opinioni di farsi una carriera (e un sacco di soldi) propinando via Internet le più assurde idiozie per giustificare la grande teoria del: "Gli USA avevano bisogno di una guerra planetaria e si sono auto-costruiti un casus belli da soli, orchestrando l'11 di Settembre". La storia insegna (anche recentemente) che gli Stati Uniti non hanno bisogno di un casus belli per andarsi ad impantanare in guerre che non hanno quasi mai vinto, ma di su cui hanno investito miliardi di dollari e migliaia di vite umane, con risultati molto discutibili. Korea, Vietnam, supporto ai CONTRAS, supporto acritico ad Israele, Grenada, Prima Guerra del Golfo, Somalia, Haiti e Balcani. La lista è incompleta. Tutto questo in 50 anni scarsi prima dell'11 Settembre. E senza Casus Belli particolari.
Quindi ignorando solo questo dettaglio storico, siamo stati quasi costretti a sorbirci le teorie deliranti di certi "scienziati". Internet fu la parola magica per giustificare qualsiasi asinata campata per aria. Non sto ad elencarle. Mi basta ancora ricordare, con disagio, quando qualche anno fa dovetti assistere ad una scena tristissima. Cena tra amici, si parla di un argomento che è lontano anni luce dagli eventi dell'11 Settembre, e non tutti si concorda su una certa visione dei fatti. Nel silenzio tra una battuta e l'altra, un commensale si pulisce la bocca con il tovagliolo, si schiarisce la voce e dice: "E' come voler far credere che le Torri Gemelle sono crollate per colpa degli incendi provocati dall’impatto dei due aerei." Gelo sulla tavolata. Questi sono i 
"cospiratori": gente con l'arroganza di voler imporre certe "verità alternative". Non gli andò bene. Il sottoscritto ha esperienze, ed è sempre stato grande appassionato, di aeronautica civile, ho conoscenze di esplosivi e di demolizioni civili non a livello base (forse perché un mio concittadino è il maggior esperto europeo di questa materia e feci a suo tempo un corso con lui) e soprattutto ho sempre studiato la storia 
contemporanea da più fonti da quando ho diciassette anni. Passai circa quaranta ed inutili minuti a controbattere ogni singola teoria esposta dal signore in questione che "aveva letto in internet". Col suo smartphone si collegò pure ad uno di questi siti, durante la discussione, per vedere se trovava informazioni più dettagliate delle mie. Io mi limitai a controbattere alle sue tesi rispondendo semplicemente con le mie conoscenze sui vari argomenti. Non lo convinsi che era nel torto, non era quello il mio obiettivo. Ma gli instillai il dubbio che forse le nottate che aveva speso per "documentarsi sulla verità sull'11 Settembre", era stato tempo perso. 
Non puoi urlare "verità" se non sai come funzionano i comandi fly-by-wire degli aerei di linea più piccoli, come collassa una struttura metallica realizzata a tubi intelaiati e quanto è efficiente una cella GSM. Non puoi. Non puoi prendere per oro colato qualsiasi idiozia, solo perché chi scrive afferma di essere stato censurato dagli USA. Quasi tremila persone sono morte quel giorno, e non è certo il modo migliore di portar rispetto ad esse il voler essere abbindolati per forza da certe scemenze.

A disonorare le vittime ci ha pensato l'Amministrazione americana. 
Due mesetti scarsi dopo l'attentato Bush ha invaso l'Afghanistan. Cosa è cambiato in Afghanistan dopo 12 anni? Bin Laden dal 2007 era in Pakistan (un “alleato” da decenni), dentro una palazzina abusiva, circondato da moglie, figli e nipoti. Dieci anni per scovarlo e giustiziarlo. Però Bush è andato nel 2003 anche in Iraq, ufficialmente per cercare armi di Distruzione di Massa mai trovate. Per lasciare otto anni dopo, con Obama, 
un paese in mano alla delinquenza iper organizzata che ha  accesso ad esplosivi ad alto potenziale, come da noi i camorristi hanno accesso a pistole con matrice abrasa. Il massacro di iracheni continua anche mentre 
scrivo queste righe. Se dalle parti della Terra tra i Due Fiumi, non parlano tanto bene degli Occidentali, ci sarà un motivo.

Dopo 12 anni da quel giorno abbiamo solo capito che siamo divisi in ideologie. Non siamo uniti in occidente. Abbiamo scoperto che giovani islamici nati e cresciuti felicemente in occidente possono perfettamente decidere un giorno, in maniera abbastanza indipendente dallo “spauracchio Al Qaeda” di fabbricare ordigni più o meno sofisticati, e decretare di morire per ammazzare della gente sconosciuta in maniera casuale. Lo sanno bene a Londra, lo sanno a Madrid, lo hanno saputo a Boston. 

L’11 di Settembre nel concreto, a parte aprire il fronte di mille piccole guerre in giro per il mondo, cosa ha comportato per il cittadino comune? 
L’inasprimento dei controlli di sicurezza gli imbarchi degli aerei, ovvio. Procedure cervellotiche, scarsamente efficaci, che hanno solo fatto arrabbiare le persone prese da quella temporanea forma di egoismo aggressivo che è lo andare per forza in vacanza in aereo. Prima dell’11 Settembre 2001 il turismo era l’attività mondiale che creava maggior fatturato del pianeta. Entrarono in vigore norme del tipo il divieto assoluto di portare a bordo nel bagaglio mano o addosso oggetti quali lame, lamette, forbici e tagliaunghie. Qualcuno ha letteralmente urlato allo scandalo. Io mi sono sempre detto: ma che ci fai con un tagliaunghie in volo? O con un coltellino multiuso? Poi quando ci fu il tentativo di attentato del terrorista con l’esplosivo nelle scarpe sempre nel 2001, fecero togliere in maniera random le scarpe ai passeggeri ai controlli di sicurezza. Poi venne la volta di verificare i residui di sostanze esplodenti su notebook e smartphone. Si proseguì con la storia che non si potevano portare a bordo contenitori contenente liquidi per un volume maggiore di X centilitri che fossero stati preparati da casa. Io ripeto: ma certa gente cosa si metteva nel bagaglio a mano prima del 2001!? Poi questo veto si è un po’ allentato, perché un chimico ha detto che o si vietano del tutto i liquidi con qualsiasi volume, oppure un piccolo ordigno incendiario è possibile sempre realizzarlo. Qualche produttore di cosmetici si è arrabbiato, e quindi si è tornato, in qualche Paese, a potersi portare le gazzose da casa nel bagaglio a mano. 
Poi venne il somalo con l’esplosivo nelle mutande.
Ma i sistemi di sicurezza per questa specifica evenienza erano già pronti! Con il multiscanner basato sulla tecnologia del radar ad onde millimetriche. Grande business che fu un buco nell’acqua operativo. Sostanzialmente era in grado di far vedere, a bassa risoluzione, quanto fossero grossi i genitali degli uomini adulti e che intimo indossassero le donne. Come avrete notato, non sono molto diffusi, anche perché sono 
oltraggiosamente costosi.
Solo per l’introduzione di queste norme, che di fatto rendono un po’ meno fruibili i voli, direi che Bin Laden ci aveva visto benissimo, per rovinare la giornata media dell’infedele occidentale (ma anche di tanti musulmani).

Chi non vola, o non ama farlo, o lo fa pochissimo, certe norme non hanno inciso molto sulla propria vita. In compenso negli anni chi utilizza le nuove tecnologie di comunicazione basate su Internet ha scoperto che è potenzialmente oggetto di intercettazioni arbitrarie da parte di enti governativi, senza avviso preventivo. Il tutto in nome di una difesa dall’organizzazione di attentati terroristici e per la tracciabilità di personaggi “potenzialmente pericolosi”. Sono assolutamente d’accordo con questa politica. E chi grida al contrario non è perché ha qualcosa da nascondere, ma perché si appella a diritti che non ha. Un po’ come quelli che copiano/incollano le fantomatiche dichiarazioni di privacy su Facebook. Un po’ come Julian Assange, che se esaminiamo un po’ meglio la sua biografia, è solo un grandissimo paraculo: altro che liberatore del mondo dell’informazione.

Per evitare un po' di sana paranoia e panico tra la gente è un dato di fatto che in questi dodici anni, nonostante tutte le storture, la mancanza colpevole di collaborazione tra Servizi Segreti di Paesi diversi, problematiche squisitamente politiche, numerosi attentati in Europa ed in America siano stati sventati. Anche in Italia. Non se ne parla solo per evitare isterismi. O forse perché chi deve far certe cose lavora meglio se la maggior parte della gente pensa a farfalline tatuate oppure se è conveniente votare sempre e comunque la stessa gente che è al governo da decenni. E non si cura del fatto che il vicino di casa stava accumulando bombolette di propano e chiodi da portare un giorno in metropolitana a Milano.

L’11 di Settembre 2001 ci ha fatto capire che viviamo in un mondo interconnesso, in cui una tragedia dall’altra parte del pianeta può perfettamente influire sulle nostre vite. Nel quotidiano. Abbiamo scoperto che c’è gente che non si fa problemi a voler ammazzare altre sconosciuti, a decine, a centinaia, a migliaia, in nome di una distorta forma di credo religioso. Che religione non è, per chi architetta certe cose. Abbiamo scoperto che l’Occidente è popolato da governi pasticcioni, animati dalle più nobili intenzioni, ma capace di creare in Paesi altrui enormi disastri. Di creare ancor più malcontento ed astio nei confronti dell’Occidente. Di rincorrere errori del passato per aggiustarli con soluzioni quasi peggiori delle precedenti. Uno per tutti: Saddam Hussein che non fu spazzato via nel 1991, ma dovettero inventarsi delle ridicole scuse dodici anni dopo per farlo. E non risolvere nulla lo stesso. Molti “ribelli siriani anti-Assad” sono iracheni che fino a due anni fa avevano come passatempo quello di confezionare bombe per ammazzare soldati occidentali in Iraq.

Quando si capirà che nel Medio Oriente le nuove generazioni aspirano “solo” ad avere un pezzetto di benessere che vedono via TV, via Internet, dei Paesi occidentali, probabilmente le cose miglioreranno in quella porzione incazzata di mondo. La “Primavera Araba”, qualunque cosa fosse, è nata per questo. Condizioni di vita migliori. La stessa identica cosa che chiedono milioni di profughi che calpestano le terre e navigano i mari per raggiungere una vita migliore. poi che non siamo in grado di affrontare questa situazione è un altro paio di maniche.

11 Settembre 2001, 11 Settembre 2013. Cosa è cambiato? Tantissime cose, e poche sono davvero migliorate, e quasi nessuna si è risolta. La miccia che si è accesa con quegli schianti di aeroplani brucia ancora, eccome, e non è ancora arrivata all’innesco della vera bomba. Ci arriverà prima o poi. E dovremo essere pronti. Non dobbiamo mai dimenticarlo. 

9/11 Never Forget… to be ready.

19.1.13

Recensione di Zero Dark Thirty


La regista di The Hurt Locker si conferma ancora una volta come efficace narratrice di eventi con un realismo senza eguali. 


La presente recensione potrebbe contenere degli spoiler. Tenendo conto però che questo film è una narrazione dei dieci anni di caccia al leader di Al Qaeda Osama Bin Laden, la “trama” non ha colpi di scena particolari. Si tratta di una serie di eventi noti a tutti. Specialmente il finale.
Gli “spoiler” potrebbero essere nell’analisi di alcune scene che andrò a fare, e che potrebbero “viziare” il giudizio dello spettatore.
Quindi, se avete intenzione di andare a vedere il film con la mente sgombra da spiegazioni tecniche su certi dettagli, evitate di andare oltre. Tornate a leggere questo post dopo che avrete visto il film in prima persona.

Innanzitutto consiglio assolutamente di andare a vedere “Zero Dark Thirty”. E’ un film che dovrebbe interessare un vasto pubblico. Dagli appassionati dei film di guerra, di action-thriller, ma soprattutto coloro che vogliono capire le vicende ed i fatti che sono avvenuti in dieci anni di storia moderna.
Non è un film adatto a tutti, però. E’ un film crudo, ruvido nell’esposizione di certe situazioni e soprattutto esplicito nel linguaggio visivo. La Bigelow, ancora una volta, si presenta come un regista “verista”, con una narrazione quasi distaccata degli eventi che si svolgono nella storia, sospendendo il giudizio sulle varie azioni e decisioni intraprese dai personaggi. In questo film non si danno suggerimenti da che parte dare “ragione” o “torto”. Sia gli americani, sia i militanti di Al Qaeda, sono esseri umani che compiono le loro azioni, con le loro specifiche motivazioni. Ma  è assente qualsiasi forzatura ideologica per entrambe le parti. E’ altresì vero che è preponderante il punto di vista americano della vicenda, però per tutta la pellicola si ha una sensazione di “non giudizio” nei confronti della vicenda. Sostanzialmente la Bigelow ci presenta i fatti: tocca allo spettatore trarre le conclusioni.
E’ un film lungo. Due ore e quaranta minuti di ininterrotta cronaca di dieci anni di ricerche, interrogatori, fallimenti,congetture e pianificazioni. Il tutto per preparare lo spettatore alla conclusione della vicenda: l’assalto finale al compound di Abottabad in Pakistan.
La storia si focalizza su un personaggio: Maya. Una giovane analista della CIA che fa parte del gruppo, formato quasi tutto da donne, dedicate a raccogliere, interpretare ed analizzare i dati raccolti dai vari interrogatori condotti su militanti di Al Qaeida catturati negli anni. Il contrasto di questa figura è ben congeniato. Abbiamo una donna giovane, fisicamente minuta, con l'aspetto fragile. Che però per tutto il tempo dimostra una caparbietà assoluta nella sua missione. Che non mostra alcun rimorso nel presenziare ed ordinare i maltrattamenti nelle torture dei prigionieri per ottenere informazioni. Maya è la sintesi umana de “il fine giustifica i mezzi”. Maya può sembrare a disagio in certe attività, ma sa anche che fa parte del mestiere ed è anche l’unico sistema per avere ciò che le serve per scovare Bin Laden. Zero Dark Thirty è la cronaca delle azioni, e delle relative conseguenze, di Maya in dieci anni di attività alla CIA e del suo totale annullamento di possibilità nell'avere una vita normale.

Zero Dark Thirty si apre con uno schermo nero ed in sottofondo le chiamate di soccorso originali delle persone intrappolate nelle Twin Towers l’11 di Settembre 2001 verso il 911. Due minuti di pura agonia in audio.
Segue la contestata scena di tortura (una delle prime, nel film ci sono varie scene di tortura psicofisica) con la tecnica del “waterboarding”. Queste scene hanno suscitato un certo “risentimento” da parte dei giornalisti ed alcuni politici USA. Per quanto realistiche queste sequenze, dal punto di vista della pura brutalità grafica, sono quasi “innocenti” rispetto al comportamento professionalmente spietato dei soldati del DEVGRU durante l’assalto finale. La questione sollevata da alcuni politici americani si basa sul fatto che gli USA dovrebbero vergognarsi di usare certi metodi brutali nell'interrogare i loro prigionieri per ottenere informazioni. Il film non si sbilancia ad affermare se ciò è giusto o sbagliato. Lo spettatore semplicemente entra nella stanza dove avvengono queste attività e la telecamera, senza spettacolarizzare nulla, lo rende testimone delle torture. Le scene di tortura sono ben realizzate, rendono l’idea nella loro estrema semplicità, sia della consumata abilità di chi conduce gli interrogatori nell’applicare le tecniche, sia della sofferenza -psicologica in primis- dei prigionieri. E come si capisce che alla fine anche il più motivato dei prigionieri ideologizzati crolli non tanto per torture fisiche e psichiche pesantissime che subisce, ma per un gesto di “umanità” -scientificamente calcolato dagli operatori della CIA- proprio alla fine di queste. “E’ una questione biologica” dice ad un certo punto del film uno dei protagonisti.
La narrazione prosegue negli anni. Tra attentati compiuti in Medio Oriente ed in Europa, rapidi sprazzi di crudezza visiva, ma efficacemente ricostruiti. La storia è divisa in capitoli narrativi che scandiscono le tappe, i punti di svolta nelle indagini, negli anni, che porteranno alla soluzione dell’enigma: dove si nasconde Bin Laden.
Non racconto nei dettagli lo svolgersi degli eventi del film prima dell’assalto, e non esprimo giudizi sugli attori, perché questo non è un blog di critica cinematografica dal punto di vista artistico. Io semplicemente ripeto il mio invito: andate a vedere questo film al cinema.
Merita.


L’Assalto

La Bigelow descrive visivamente l’assalto quasi esattamente come è riportato nel libro “No Easy Day”.

La preparazione

Modellino del compound utilizzato per i briefing


Il briefing ai membri del DEVGRU è solo accennato in una scena dentro un hangar, dove vengono presentati anche gli elicotteri stealth. E’ più una scena di confronto tra il comportamento chiuso e dubbioso dei SEAL nei riguardi della piccola e battagliera Maya. Pochissimi istanti. Viene completamente omesso il fatto che nella realtà il DEVGRU si allenò assiduamente per l’assalto in una struttura costruita a tempo di record in North Carolina che riproduceva in scala 1:1 il compound di Abbottabad. Le dimensioni di tale “simulacro” erano basate sulle riprese satellitari del compound in Pakistan.

Il vero compound ricostruito in North Carolina, che però nel film non è raffigurato.


Il “GhostHawk”


Mock-up statico dell'elicottero.


Uno dei punti di notevole interesse del film è che la produzione ha deciso di portare sullo schermo l’elicottero GhostHawk usato per l’infiltrazione delle squadre del DEVGRU nel compound di Abottabad. Nel film si descrivono i due velivoli sommariamente come un progetto che ha rischiato per due volte di essere cancellato per i tagli al bilancio e che utilizzano “pannellature” derivate dal bombardiere B2. Si fa notare che sono un po’ lenti in velocità di crociera e che sono più piccoli di un Blackhawk standard, ma nei test di volo hanno dimostrato un’ottima invisibilità ai radar. Non vengono forniti altri dettagli. I due elicotteri hanno il rotore principale a cinque pale. A tutt’oggi foto ufficiali della reale versione “stealth” dello UH-60 Blackhawk non ce ne sono. Esistono però ottime speculazioni sulla sua morfologia in Internet. Una delle ricostruzioni più riuscite la potete trovare qui:http://theaviationist.com/category/stealth-black-hawk/#.UPnAoh0370c
Dell’elicottero abbiamo solo delle foto del relitto effettuate il mattino dopo il raid dalla stampa pakistana. Di queste foto si ha solo una chiara indicazione del design della parte terminale della coda dell’elicottero, che è sopravvissuta alla demolizione.
Nel film vengono utilizzati due elicotteri “cammufati” (grande tradizione della cinematografia d’azione cammuffare elicotteri commerciali con sembianze militari. Esempi: Tuono Blu, Rambo 3 e alcuni film di 007. Solo per citare alcuni). Poi ci sono dei “mock-up” a grandezza naturale (di cui la foto visibile in questo blog) e delle immancabili sequenze in volo in computer grafica. Non posso dire se la forma è simile al vero GhostHawk, ma posso affermare che chi ha disegnato la forma di questo elicottero per il film, si è pesantemente basato sulle tecniche di “faceting” degli anni 70’-80’ (per un approfondimento su questo argomento andate al mio post che spiega qualche nozione sulle tecnologie stealth).
Istintivamente potrei dire che il vero GhostHawk potrebbe avere molti meno spigoli e delle forme più “fluide”. Questo in virtù del fatto che dovrebbe essere stato sviluppato in anni (anni ‘90 presumibilmente) in cui la potenza di calcolo a disposizione delle aziende aeronautiche era molto elevata. Solitamente nelle realizzazioni stealth, angoli vivi e superfici piane significano poca potenza di calcolo utilizzato nel design.
Ciò nonostante abbiamo nel film la presenza di due elicotteri molto credibili e dal design decisamente militare e realistico nell’intento visivo dell’opera cinematografica. Inoltre in post-produzione hanno “doppiato” gli elicotteri con un particolare rumore della pale a bassa frequenza, per far capire che questi elicotteri avrebbero anche una bassa emissione sonora. Dettaglio molto ben inserito nel contesto.
Nel film la perdita dell’elicottero, come descritto in “ManHunt”, è imputabile al “downwash”. Sostanzialmente si tratta di una repentina perdita di portanza delle eliche del rotore principale a causa della distruzione “dell’effetto suolo” da parte di un ostacolo verticale non previsto che influenza il flusso d’aria verticale in modo anomalo. In pratica non avevano calcolato che i muri del compound che erano alti circa cinque metri, potevano distruggere il flusso d’aria verticale in atterraggio nelle loro vicinanze. Il fenomeno non venne notato in fase di addestramento nella struttura di simulazione in North Carolina, perchè i muri furono ricreati con una recinzione metallica.
Nella fase di distruzione dell’elicottero danneggiato la Bigelow, maniaca dei dettagli, durante l’esplosione fa finire la coda dell’elicottero oltre il muro, esattamente come avvenne nella realtà.

L'INCURSIONE

L’incursione dura esattamente ventidue minuti, come si afferma che sia avvenuto nella realtà. Tutta questa sequenza è senza colonna sonora, e sono i suoni ambientali a fare da protagonisti. Si può apprezzare, come buon sistema di coinvolgere lo spettatore, sequenze di silenzio assoluto, dove si sentono gli operatori trattenere il respiro in certi momenti per ascoltare meglio i rumori nelle stanze, alternati a momenti frenetici, brevissimi, di frastuono quando sparano le armi non silenziate, esplodono le cariche da breccia e le urla dei civili nel compound. Per poi ripiombare nel silenzio assoluto. I rumori, esattamente come le immagini, sono protagonisti di questa sequenza realizzata, a mio avviso, in maniera magistrale.

Configurazione dell'equipaggiamento tipica adottata dal DEVGRU nel film.


Gli attori che impersonano gli operatori del DEVGRU sono stati equipaggiati ed istruiti nell’esecuzione di questa scena dalla ditta Modern Warfare LLC. Inoltre la Bigelow conferma la presenza sul set di numerosi “ex-Navy SEALs” nel ruolo di supervisori. Una scelta vincente della Bigelow è stata anche quella di assegnare le parti dei SEALs ad attori esperti, ma non famosissimi. Questo per evitare che il pubblico identificasse l’attore coi suoi precedenti ruoli in altri film, rovinando l’effetto “totale realismo”.

L’impressione generale, prima di entrare nei dettagli, che le tecniche di CQB che si vedono in questo film siano davvero quello che “fanno sul campo”, compresa qualche “sbavatura”. Mentre invece quello che si vede fare in altri film sia quello “da manuale come vogliono che si faccia per forza in addestramento”. Qui abbiamo gli operatori che comunicano tra loro, lo stretto necessario, ma utilizzano poco i gesti e molto la voce. Da come si muovono si capisce che a grandi linee conoscono già la struttura (grazie all’addestramento specifico effettuato nella struttura di simulazione), ma una volta dentro l’edificio, per ovvi motivi, rallentano il ritmo sensibilmente. La postura ed il maneggio dell’arma da parte di tutti gli operatori è quella del “low-ready”, arma bassa sempre e comunque se non a contatto imminente. Per ispezionare le stanze usano la tecnica consolidata dello “slicing the pie”. La tecnica, in breve, si basa sull’ispezionare l’interno di una stanza restando in copertura dietro uno stipite della porta e usando questo come “perno” per effettuare una ricognizione visiva “ad arco”. Il nome deriva dal fatto che l’operatore deve coprire con la sua arma l’arco di visuale, esaminandolo in settori (denominati “fette di torta” dall’inglese), in quanto l’azione può essere immaginata come l’analisi di “spicchi” successivi. Se vedrete il film capirete al volo questa descrizione.
Ogni porta viene esaminata ed aperta da due operatori che lavorano in concerto: uno in copertura ed un eventuale “breacher”. Il compito del “breacher” è quello di esaminare istantaneamente una porta e capire con quale “tecnologia” è meglio affrontarla per aprirla. Dato che il numero di cariche esplosive che una squadra può portare con sé è limitata, è responsabilità del “breacher” capire quando impiegarle proficuamente, e quando invece si può procedere solo con altri metodi di effrazione dinamica (ad esempio piedi di porco dalla foggia particolare o arieti portatili. Cosiddetti “Entry Tool” ).
Nel film le cariche da demolizione vengono utilizzate per affrontare le porte ed i cancelli metallici, mentre in un caso viene utilizzato un piede di porco telescopico. In entrambi le azioni il film riporta correttamente dimensioni delle cariche, tipo di innesco, posizionamento della carica stessa (in molti film, ma anche in video “promozionali” di certi Reparti, vengono filmate delle sequenze volutamente errate di posizionamento delle cariche sulle porte.). Le cariche sono avviate correttamente con innesco non elettrico M60. I rumori delle esplosioni sono doppiati in post-produzione, ma efficaci.

Breacher in piazzamento carica

Effrazione porta con Entry Tool telescopico.


L’uso delle armi è limitato al minimo indispensabile. Il rumore degli HK416 silenziati con munizioni subsoniche è un po’ tirato sul “un po’ troppo silenzioso”, però è piuttosto realistico tutto sommato. Specie quando nel film sparano nelle stanze le armi silenziate fanno il loro rumore tipico. Però sempre rumore fanno, eccome. Nella realtà i "silenziatori" sono applicati alle armi per nascondere le fiammate degli spari nelle operazioni notturne, che nelle carabine militari é notevole nell'oscuritá. Il problema è che nei film si usano munizioni a salve, e il tipo di rumore generato da un’arma silenziata è dato dall’abbandono del proiettile dalla canna ad una velocità subsonica. Questo rumore, per ovvi motivi, è irrealizzabile “live” sul set, specie quando un attore spara ad un altro attore, quindi il rumore è spesso inserito in post-produzione. Il rumore è molto simile a quello di una Air Soft Gun “pompata”, nella realtà delle carabine in .223 silenziate.
Nei video amatoriali su Internet non c’è l’effetto “palloncino che scoppia” perchè spesso i microfoni delle telecamere (e relativa compressione audio successiva) effettuano un taglio proprio su quelle frequenze. Se invece parliamo di armi silenziate speciali che sparano proiettili “grossi e lenti” (tipo .45 AUTO), effettivamente hanno una traccia sonora quasi irrisoria.
Dal punto di vista dell’equipaggiamento che il film mostra addosso il DEVGRU ci si rifà alla descrizione che viene data nel libro “No Easy Day”, e sembra coincidente. In ogni caso non è nulla di particolarmente sofisticato, se non nei visori notturni 4-eyed.
Diciamo che dei “softgunner” con molti soldi da investire potrebbero perfettamente avere addosso lo stesso equipaggiamento.



Un unico appunto: c’è una certa drammatizzazione nel visualizzare il laser IR delle armi come dei raggi continui. Questo in alcune sequenze. Il fenomeno è percepicibile se nell’aria c’è un notevole pulviscolo che viene “illuminato” dal fascio laser. Altrimenti è sostanzialmente invisibile. Infatti in alcune sequenze del film è invisibile (se non il punto di impatto su un oggetto/persona) oppure si vede il raggio chiaramente magari quando sono all’aperto. Vabbeh, concediamo la “drammatizzazione”.



Quando scendono dall’elicottero c’è una sequenza di pochi istanti in cui si vede un gruppo di operatori in fila indiana e si nota chiaramente che si puntano i laser addosso. Se la Bigelow qui voleva far vedere che i soldati erano equipaggiati di laser IR, ok, lo spettatore lo capisce. Ma sono cose che fanno accapponare la pelle nella realtà. Non si punta MAI l’arma addosso ad un commilitone, specie se si è area operativa. Unico (e non piccolo) neo tecnico che ho notato nella sequenza dell’assalto al compound.

Sequenza di fotogrammi che dimostra il laser IR dell'ultimo soldato "sventagliare" i colleghi di fronte.


La Bigelow sceglie di non mostrare il volto di Bin Laden colpito dai proiettili, se non molto di sfuggita attraverso lo schermo LCD di una fotocamera digitale. Non si sa il perchè di questa scelta. Forse le è stato consigliato di non mostrarlo per evitare di nuovo le potenziali polemiche che l’Amministrazione Obama ha tanto temuto nel 2011? Non è un film che dimostra “pudore”. In nessuna sequenza. Quindi sembra quasi una nota stonata questo voler censurare il corpo di Bin Laden, specialmente dopo tutta la esplicita violenza grafica che ha preceduto il suo abbattimento.


PRODUCT PLACEMENT

Da sempre i film fanno pubblicità ai prodotti agli sponsor della produzione. Negli ultimi anni, poi, questa pratica (assolutamente legittima) è diventata particolarmente presente in tutte le produzione cinematografiche (anche europee).
Il concetto è questo: se in un film riuscite ad individuare palesemente un marchio di qualsivoglia prodotto, anche di sfuggita, anche se è in un angolo di un’inquadratura... E’ voluto. La sequenza è stata espressamente studiata affinchè il marchio si potesse notare. Se un oggetto è indispensabile al film, ma il suo produttore non fa parte degli sponsor, esso viene “anonimizzato”. Non si fa nulla di particolare per aiutare lo spettatore a capire di che marchio è il tal oggetto. In questo film ci sono numerosi “product placement”.
Il più palese è la linea di prodotti di vestiario ed accessori tattici 5.11. Tutti i contractor (le guardie civili armate alle strutture militari) presenti nel film indossano capi di vestiario 5.11 dal berretto agli anfibi. A dire il vero non è un dettaglio lontanissimo dalla verità dei fatti. Però la 5.11 è inclusa nei ringraziamenti dei titoli di coda, quindi...
In un’inquadratura è ben presente una custodia di una pinza multiuso Leatherman.
Tutti i computer e i notebook utilizzati da Maya negli uffici CIA sono Apple, HP e IBM-Lenovo.
In una sequenza molto particolare una bottiglia di Coca Cola col marchio visibile praticamente è protagonista.
Tutti i cellulari utilizzati dai protagonisti (anche in locazioni diverse geografiche e nel tempo) sono Blackberry (ma questo ci sta, in quanto negli anni passati Blackberry ha sempre vinto gli appalti di fornitura dei cellulari al Pentagono).

CONCLUSIONI
Non è un film d’azione con mirabolanti scene e continue sparatorie. Non è un film con un ritmo serrato di narrazione. Non è un film con un montaggio frenetico. Qualcuno potrebbe anche definirlo “lento” nel suo complesso. Questo è semplicemente un film ben fatto, un tentativo riuscito di narrare con il linguaggio cinematografico un pezzo importante della Storia Moderna. Ci sono bravi attori che ci coinvolgono nell’ambiente delle operazioni speciali. Nella vita degli analisti della CIA e ci fanno capire quanto è stata complessa, quasi impossibile, la ricostruzione degli indizi che hanno portato al nascondiglio di Bin Laden. E sono state fatte delle semplificazioni narrative, per ovvi motivi. Cosa sia avvenuto veramente nei dieci anni di caccia a Bin Laden non è dato saperlo al grande pubblico. Le varie ricostruzioni giornalistiche (serie) pubblicate in questi anni sono più o meno sono concordi su un certo svolgimento dei fatti. Zero Dark Thirty è, ad oggi, è l’opera narrativa più coerente con questi fatti. Film da vedere. Dal 7 Febbraio nei cinema italiani.

Un unico appunto: in certe sale il film è chiamato "OPERAZIONE ZERO DARK THIRTY".
Al solito la distribuzione italiana se non distrugge/snatura un titolo anglosassone non è contenta. 
Denominare così il film è dimostrare, come sempre, che i titolisti italiani fanno troppa fatica ad informarsi su cosa devono scrivere sui cartelloni: evidentemente hanno lo stipendio lo stesso.
"Zero Dark Thirty" è nel gergo militare l'orario di 30 minuti dopo la mezzanotte. Nell'intenzione del film è per sottolineare il buio assoluto metaforico in cui sono avvenute le indagini su Bin Laden. Il nome dell'operazione che ha portato all'assalto al compound era "Neptune Spear". Quindi con questo titolo italiano farlocco, si vuole sottolineare che il film è basato su un'operazione  militare. Falso. Due ore e venti di film sono di indagini ed attività d'Intelligencee solo venti minuti di "azione".
Boicottiamo i titolisti italiani.

(La presente recensione è stata realizzata sulla versione in lingua originale del film.)


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Italia 2014. Sono trascorsi due anni dagli eventi de "La giusta decisione". Saverio Mora, l'analista dei Servizi Segreti italiani, e Matteo Giuliani, ex ufficiale del Col Moschin, oggi vivono le loro vite a centinaia di chilometri uno dall'altro, ignari delle circostanze che li stanno per travolgere.
Due storie parallele che condurranno il lettore nell'Iraq devastato dal ritiro delle truppe occidentali, in balia di Contractor corrotti coinvolti in traffici illeciti, e in una Italia dove i Servizi Segreti e i GIS dei Carabinieri tentano di sventare la devastante quanto concreta minaccia di un attentato terroristico. Xenofobia, voto agli immigrati e la dettagliata quotidianità dei Contractor in Iraq sono solo alcuni dei temi scottanti in cui il lettore si troverà catapultato, attraverso una trama ricca di azione e realismo tecnico fino al culmine di un finale emozionante e imprevedibile. Per maggiori informazioni su www.francescocotti.it