19.1.13

Recensione di Zero Dark Thirty


La regista di The Hurt Locker si conferma ancora una volta come efficace narratrice di eventi con un realismo senza eguali. 


La presente recensione potrebbe contenere degli spoiler. Tenendo conto però che questo film è una narrazione dei dieci anni di caccia al leader di Al Qaeda Osama Bin Laden, la “trama” non ha colpi di scena particolari. Si tratta di una serie di eventi noti a tutti. Specialmente il finale.
Gli “spoiler” potrebbero essere nell’analisi di alcune scene che andrò a fare, e che potrebbero “viziare” il giudizio dello spettatore.
Quindi, se avete intenzione di andare a vedere il film con la mente sgombra da spiegazioni tecniche su certi dettagli, evitate di andare oltre. Tornate a leggere questo post dopo che avrete visto il film in prima persona.

Innanzitutto consiglio assolutamente di andare a vedere “Zero Dark Thirty”. E’ un film che dovrebbe interessare un vasto pubblico. Dagli appassionati dei film di guerra, di action-thriller, ma soprattutto coloro che vogliono capire le vicende ed i fatti che sono avvenuti in dieci anni di storia moderna.
Non è un film adatto a tutti, però. E’ un film crudo, ruvido nell’esposizione di certe situazioni e soprattutto esplicito nel linguaggio visivo. La Bigelow, ancora una volta, si presenta come un regista “verista”, con una narrazione quasi distaccata degli eventi che si svolgono nella storia, sospendendo il giudizio sulle varie azioni e decisioni intraprese dai personaggi. In questo film non si danno suggerimenti da che parte dare “ragione” o “torto”. Sia gli americani, sia i militanti di Al Qaeda, sono esseri umani che compiono le loro azioni, con le loro specifiche motivazioni. Ma  è assente qualsiasi forzatura ideologica per entrambe le parti. E’ altresì vero che è preponderante il punto di vista americano della vicenda, però per tutta la pellicola si ha una sensazione di “non giudizio” nei confronti della vicenda. Sostanzialmente la Bigelow ci presenta i fatti: tocca allo spettatore trarre le conclusioni.
E’ un film lungo. Due ore e quaranta minuti di ininterrotta cronaca di dieci anni di ricerche, interrogatori, fallimenti,congetture e pianificazioni. Il tutto per preparare lo spettatore alla conclusione della vicenda: l’assalto finale al compound di Abottabad in Pakistan.
La storia si focalizza su un personaggio: Maya. Una giovane analista della CIA che fa parte del gruppo, formato quasi tutto da donne, dedicate a raccogliere, interpretare ed analizzare i dati raccolti dai vari interrogatori condotti su militanti di Al Qaeida catturati negli anni. Il contrasto di questa figura è ben congeniato. Abbiamo una donna giovane, fisicamente minuta, con l'aspetto fragile. Che però per tutto il tempo dimostra una caparbietà assoluta nella sua missione. Che non mostra alcun rimorso nel presenziare ed ordinare i maltrattamenti nelle torture dei prigionieri per ottenere informazioni. Maya è la sintesi umana de “il fine giustifica i mezzi”. Maya può sembrare a disagio in certe attività, ma sa anche che fa parte del mestiere ed è anche l’unico sistema per avere ciò che le serve per scovare Bin Laden. Zero Dark Thirty è la cronaca delle azioni, e delle relative conseguenze, di Maya in dieci anni di attività alla CIA e del suo totale annullamento di possibilità nell'avere una vita normale.

Zero Dark Thirty si apre con uno schermo nero ed in sottofondo le chiamate di soccorso originali delle persone intrappolate nelle Twin Towers l’11 di Settembre 2001 verso il 911. Due minuti di pura agonia in audio.
Segue la contestata scena di tortura (una delle prime, nel film ci sono varie scene di tortura psicofisica) con la tecnica del “waterboarding”. Queste scene hanno suscitato un certo “risentimento” da parte dei giornalisti ed alcuni politici USA. Per quanto realistiche queste sequenze, dal punto di vista della pura brutalità grafica, sono quasi “innocenti” rispetto al comportamento professionalmente spietato dei soldati del DEVGRU durante l’assalto finale. La questione sollevata da alcuni politici americani si basa sul fatto che gli USA dovrebbero vergognarsi di usare certi metodi brutali nell'interrogare i loro prigionieri per ottenere informazioni. Il film non si sbilancia ad affermare se ciò è giusto o sbagliato. Lo spettatore semplicemente entra nella stanza dove avvengono queste attività e la telecamera, senza spettacolarizzare nulla, lo rende testimone delle torture. Le scene di tortura sono ben realizzate, rendono l’idea nella loro estrema semplicità, sia della consumata abilità di chi conduce gli interrogatori nell’applicare le tecniche, sia della sofferenza -psicologica in primis- dei prigionieri. E come si capisce che alla fine anche il più motivato dei prigionieri ideologizzati crolli non tanto per torture fisiche e psichiche pesantissime che subisce, ma per un gesto di “umanità” -scientificamente calcolato dagli operatori della CIA- proprio alla fine di queste. “E’ una questione biologica” dice ad un certo punto del film uno dei protagonisti.
La narrazione prosegue negli anni. Tra attentati compiuti in Medio Oriente ed in Europa, rapidi sprazzi di crudezza visiva, ma efficacemente ricostruiti. La storia è divisa in capitoli narrativi che scandiscono le tappe, i punti di svolta nelle indagini, negli anni, che porteranno alla soluzione dell’enigma: dove si nasconde Bin Laden.
Non racconto nei dettagli lo svolgersi degli eventi del film prima dell’assalto, e non esprimo giudizi sugli attori, perché questo non è un blog di critica cinematografica dal punto di vista artistico. Io semplicemente ripeto il mio invito: andate a vedere questo film al cinema.
Merita.


L’Assalto

La Bigelow descrive visivamente l’assalto quasi esattamente come è riportato nel libro “No Easy Day”.

La preparazione

Modellino del compound utilizzato per i briefing


Il briefing ai membri del DEVGRU è solo accennato in una scena dentro un hangar, dove vengono presentati anche gli elicotteri stealth. E’ più una scena di confronto tra il comportamento chiuso e dubbioso dei SEAL nei riguardi della piccola e battagliera Maya. Pochissimi istanti. Viene completamente omesso il fatto che nella realtà il DEVGRU si allenò assiduamente per l’assalto in una struttura costruita a tempo di record in North Carolina che riproduceva in scala 1:1 il compound di Abbottabad. Le dimensioni di tale “simulacro” erano basate sulle riprese satellitari del compound in Pakistan.

Il vero compound ricostruito in North Carolina, che però nel film non è raffigurato.


Il “GhostHawk”


Mock-up statico dell'elicottero.


Uno dei punti di notevole interesse del film è che la produzione ha deciso di portare sullo schermo l’elicottero GhostHawk usato per l’infiltrazione delle squadre del DEVGRU nel compound di Abottabad. Nel film si descrivono i due velivoli sommariamente come un progetto che ha rischiato per due volte di essere cancellato per i tagli al bilancio e che utilizzano “pannellature” derivate dal bombardiere B2. Si fa notare che sono un po’ lenti in velocità di crociera e che sono più piccoli di un Blackhawk standard, ma nei test di volo hanno dimostrato un’ottima invisibilità ai radar. Non vengono forniti altri dettagli. I due elicotteri hanno il rotore principale a cinque pale. A tutt’oggi foto ufficiali della reale versione “stealth” dello UH-60 Blackhawk non ce ne sono. Esistono però ottime speculazioni sulla sua morfologia in Internet. Una delle ricostruzioni più riuscite la potete trovare qui:http://theaviationist.com/category/stealth-black-hawk/#.UPnAoh0370c
Dell’elicottero abbiamo solo delle foto del relitto effettuate il mattino dopo il raid dalla stampa pakistana. Di queste foto si ha solo una chiara indicazione del design della parte terminale della coda dell’elicottero, che è sopravvissuta alla demolizione.
Nel film vengono utilizzati due elicotteri “cammufati” (grande tradizione della cinematografia d’azione cammuffare elicotteri commerciali con sembianze militari. Esempi: Tuono Blu, Rambo 3 e alcuni film di 007. Solo per citare alcuni). Poi ci sono dei “mock-up” a grandezza naturale (di cui la foto visibile in questo blog) e delle immancabili sequenze in volo in computer grafica. Non posso dire se la forma è simile al vero GhostHawk, ma posso affermare che chi ha disegnato la forma di questo elicottero per il film, si è pesantemente basato sulle tecniche di “faceting” degli anni 70’-80’ (per un approfondimento su questo argomento andate al mio post che spiega qualche nozione sulle tecnologie stealth).
Istintivamente potrei dire che il vero GhostHawk potrebbe avere molti meno spigoli e delle forme più “fluide”. Questo in virtù del fatto che dovrebbe essere stato sviluppato in anni (anni ‘90 presumibilmente) in cui la potenza di calcolo a disposizione delle aziende aeronautiche era molto elevata. Solitamente nelle realizzazioni stealth, angoli vivi e superfici piane significano poca potenza di calcolo utilizzato nel design.
Ciò nonostante abbiamo nel film la presenza di due elicotteri molto credibili e dal design decisamente militare e realistico nell’intento visivo dell’opera cinematografica. Inoltre in post-produzione hanno “doppiato” gli elicotteri con un particolare rumore della pale a bassa frequenza, per far capire che questi elicotteri avrebbero anche una bassa emissione sonora. Dettaglio molto ben inserito nel contesto.
Nel film la perdita dell’elicottero, come descritto in “ManHunt”, è imputabile al “downwash”. Sostanzialmente si tratta di una repentina perdita di portanza delle eliche del rotore principale a causa della distruzione “dell’effetto suolo” da parte di un ostacolo verticale non previsto che influenza il flusso d’aria verticale in modo anomalo. In pratica non avevano calcolato che i muri del compound che erano alti circa cinque metri, potevano distruggere il flusso d’aria verticale in atterraggio nelle loro vicinanze. Il fenomeno non venne notato in fase di addestramento nella struttura di simulazione in North Carolina, perchè i muri furono ricreati con una recinzione metallica.
Nella fase di distruzione dell’elicottero danneggiato la Bigelow, maniaca dei dettagli, durante l’esplosione fa finire la coda dell’elicottero oltre il muro, esattamente come avvenne nella realtà.

L'INCURSIONE

L’incursione dura esattamente ventidue minuti, come si afferma che sia avvenuto nella realtà. Tutta questa sequenza è senza colonna sonora, e sono i suoni ambientali a fare da protagonisti. Si può apprezzare, come buon sistema di coinvolgere lo spettatore, sequenze di silenzio assoluto, dove si sentono gli operatori trattenere il respiro in certi momenti per ascoltare meglio i rumori nelle stanze, alternati a momenti frenetici, brevissimi, di frastuono quando sparano le armi non silenziate, esplodono le cariche da breccia e le urla dei civili nel compound. Per poi ripiombare nel silenzio assoluto. I rumori, esattamente come le immagini, sono protagonisti di questa sequenza realizzata, a mio avviso, in maniera magistrale.

Configurazione dell'equipaggiamento tipica adottata dal DEVGRU nel film.


Gli attori che impersonano gli operatori del DEVGRU sono stati equipaggiati ed istruiti nell’esecuzione di questa scena dalla ditta Modern Warfare LLC. Inoltre la Bigelow conferma la presenza sul set di numerosi “ex-Navy SEALs” nel ruolo di supervisori. Una scelta vincente della Bigelow è stata anche quella di assegnare le parti dei SEALs ad attori esperti, ma non famosissimi. Questo per evitare che il pubblico identificasse l’attore coi suoi precedenti ruoli in altri film, rovinando l’effetto “totale realismo”.

L’impressione generale, prima di entrare nei dettagli, che le tecniche di CQB che si vedono in questo film siano davvero quello che “fanno sul campo”, compresa qualche “sbavatura”. Mentre invece quello che si vede fare in altri film sia quello “da manuale come vogliono che si faccia per forza in addestramento”. Qui abbiamo gli operatori che comunicano tra loro, lo stretto necessario, ma utilizzano poco i gesti e molto la voce. Da come si muovono si capisce che a grandi linee conoscono già la struttura (grazie all’addestramento specifico effettuato nella struttura di simulazione), ma una volta dentro l’edificio, per ovvi motivi, rallentano il ritmo sensibilmente. La postura ed il maneggio dell’arma da parte di tutti gli operatori è quella del “low-ready”, arma bassa sempre e comunque se non a contatto imminente. Per ispezionare le stanze usano la tecnica consolidata dello “slicing the pie”. La tecnica, in breve, si basa sull’ispezionare l’interno di una stanza restando in copertura dietro uno stipite della porta e usando questo come “perno” per effettuare una ricognizione visiva “ad arco”. Il nome deriva dal fatto che l’operatore deve coprire con la sua arma l’arco di visuale, esaminandolo in settori (denominati “fette di torta” dall’inglese), in quanto l’azione può essere immaginata come l’analisi di “spicchi” successivi. Se vedrete il film capirete al volo questa descrizione.
Ogni porta viene esaminata ed aperta da due operatori che lavorano in concerto: uno in copertura ed un eventuale “breacher”. Il compito del “breacher” è quello di esaminare istantaneamente una porta e capire con quale “tecnologia” è meglio affrontarla per aprirla. Dato che il numero di cariche esplosive che una squadra può portare con sé è limitata, è responsabilità del “breacher” capire quando impiegarle proficuamente, e quando invece si può procedere solo con altri metodi di effrazione dinamica (ad esempio piedi di porco dalla foggia particolare o arieti portatili. Cosiddetti “Entry Tool” ).
Nel film le cariche da demolizione vengono utilizzate per affrontare le porte ed i cancelli metallici, mentre in un caso viene utilizzato un piede di porco telescopico. In entrambi le azioni il film riporta correttamente dimensioni delle cariche, tipo di innesco, posizionamento della carica stessa (in molti film, ma anche in video “promozionali” di certi Reparti, vengono filmate delle sequenze volutamente errate di posizionamento delle cariche sulle porte.). Le cariche sono avviate correttamente con innesco non elettrico M60. I rumori delle esplosioni sono doppiati in post-produzione, ma efficaci.

Breacher in piazzamento carica

Effrazione porta con Entry Tool telescopico.


L’uso delle armi è limitato al minimo indispensabile. Il rumore degli HK416 silenziati con munizioni subsoniche è un po’ tirato sul “un po’ troppo silenzioso”, però è piuttosto realistico tutto sommato. Specie quando nel film sparano nelle stanze le armi silenziate fanno il loro rumore tipico. Però sempre rumore fanno, eccome. Nella realtà i "silenziatori" sono applicati alle armi per nascondere le fiammate degli spari nelle operazioni notturne, che nelle carabine militari é notevole nell'oscuritá. Il problema è che nei film si usano munizioni a salve, e il tipo di rumore generato da un’arma silenziata è dato dall’abbandono del proiettile dalla canna ad una velocità subsonica. Questo rumore, per ovvi motivi, è irrealizzabile “live” sul set, specie quando un attore spara ad un altro attore, quindi il rumore è spesso inserito in post-produzione. Il rumore è molto simile a quello di una Air Soft Gun “pompata”, nella realtà delle carabine in .223 silenziate.
Nei video amatoriali su Internet non c’è l’effetto “palloncino che scoppia” perchè spesso i microfoni delle telecamere (e relativa compressione audio successiva) effettuano un taglio proprio su quelle frequenze. Se invece parliamo di armi silenziate speciali che sparano proiettili “grossi e lenti” (tipo .45 AUTO), effettivamente hanno una traccia sonora quasi irrisoria.
Dal punto di vista dell’equipaggiamento che il film mostra addosso il DEVGRU ci si rifà alla descrizione che viene data nel libro “No Easy Day”, e sembra coincidente. In ogni caso non è nulla di particolarmente sofisticato, se non nei visori notturni 4-eyed.
Diciamo che dei “softgunner” con molti soldi da investire potrebbero perfettamente avere addosso lo stesso equipaggiamento.



Un unico appunto: c’è una certa drammatizzazione nel visualizzare il laser IR delle armi come dei raggi continui. Questo in alcune sequenze. Il fenomeno è percepicibile se nell’aria c’è un notevole pulviscolo che viene “illuminato” dal fascio laser. Altrimenti è sostanzialmente invisibile. Infatti in alcune sequenze del film è invisibile (se non il punto di impatto su un oggetto/persona) oppure si vede il raggio chiaramente magari quando sono all’aperto. Vabbeh, concediamo la “drammatizzazione”.



Quando scendono dall’elicottero c’è una sequenza di pochi istanti in cui si vede un gruppo di operatori in fila indiana e si nota chiaramente che si puntano i laser addosso. Se la Bigelow qui voleva far vedere che i soldati erano equipaggiati di laser IR, ok, lo spettatore lo capisce. Ma sono cose che fanno accapponare la pelle nella realtà. Non si punta MAI l’arma addosso ad un commilitone, specie se si è area operativa. Unico (e non piccolo) neo tecnico che ho notato nella sequenza dell’assalto al compound.

Sequenza di fotogrammi che dimostra il laser IR dell'ultimo soldato "sventagliare" i colleghi di fronte.


La Bigelow sceglie di non mostrare il volto di Bin Laden colpito dai proiettili, se non molto di sfuggita attraverso lo schermo LCD di una fotocamera digitale. Non si sa il perchè di questa scelta. Forse le è stato consigliato di non mostrarlo per evitare di nuovo le potenziali polemiche che l’Amministrazione Obama ha tanto temuto nel 2011? Non è un film che dimostra “pudore”. In nessuna sequenza. Quindi sembra quasi una nota stonata questo voler censurare il corpo di Bin Laden, specialmente dopo tutta la esplicita violenza grafica che ha preceduto il suo abbattimento.


PRODUCT PLACEMENT

Da sempre i film fanno pubblicità ai prodotti agli sponsor della produzione. Negli ultimi anni, poi, questa pratica (assolutamente legittima) è diventata particolarmente presente in tutte le produzione cinematografiche (anche europee).
Il concetto è questo: se in un film riuscite ad individuare palesemente un marchio di qualsivoglia prodotto, anche di sfuggita, anche se è in un angolo di un’inquadratura... E’ voluto. La sequenza è stata espressamente studiata affinchè il marchio si potesse notare. Se un oggetto è indispensabile al film, ma il suo produttore non fa parte degli sponsor, esso viene “anonimizzato”. Non si fa nulla di particolare per aiutare lo spettatore a capire di che marchio è il tal oggetto. In questo film ci sono numerosi “product placement”.
Il più palese è la linea di prodotti di vestiario ed accessori tattici 5.11. Tutti i contractor (le guardie civili armate alle strutture militari) presenti nel film indossano capi di vestiario 5.11 dal berretto agli anfibi. A dire il vero non è un dettaglio lontanissimo dalla verità dei fatti. Però la 5.11 è inclusa nei ringraziamenti dei titoli di coda, quindi...
In un’inquadratura è ben presente una custodia di una pinza multiuso Leatherman.
Tutti i computer e i notebook utilizzati da Maya negli uffici CIA sono Apple, HP e IBM-Lenovo.
In una sequenza molto particolare una bottiglia di Coca Cola col marchio visibile praticamente è protagonista.
Tutti i cellulari utilizzati dai protagonisti (anche in locazioni diverse geografiche e nel tempo) sono Blackberry (ma questo ci sta, in quanto negli anni passati Blackberry ha sempre vinto gli appalti di fornitura dei cellulari al Pentagono).

CONCLUSIONI
Non è un film d’azione con mirabolanti scene e continue sparatorie. Non è un film con un ritmo serrato di narrazione. Non è un film con un montaggio frenetico. Qualcuno potrebbe anche definirlo “lento” nel suo complesso. Questo è semplicemente un film ben fatto, un tentativo riuscito di narrare con il linguaggio cinematografico un pezzo importante della Storia Moderna. Ci sono bravi attori che ci coinvolgono nell’ambiente delle operazioni speciali. Nella vita degli analisti della CIA e ci fanno capire quanto è stata complessa, quasi impossibile, la ricostruzione degli indizi che hanno portato al nascondiglio di Bin Laden. E sono state fatte delle semplificazioni narrative, per ovvi motivi. Cosa sia avvenuto veramente nei dieci anni di caccia a Bin Laden non è dato saperlo al grande pubblico. Le varie ricostruzioni giornalistiche (serie) pubblicate in questi anni sono più o meno sono concordi su un certo svolgimento dei fatti. Zero Dark Thirty è, ad oggi, è l’opera narrativa più coerente con questi fatti. Film da vedere. Dal 7 Febbraio nei cinema italiani.

Un unico appunto: in certe sale il film è chiamato "OPERAZIONE ZERO DARK THIRTY".
Al solito la distribuzione italiana se non distrugge/snatura un titolo anglosassone non è contenta. 
Denominare così il film è dimostrare, come sempre, che i titolisti italiani fanno troppa fatica ad informarsi su cosa devono scrivere sui cartelloni: evidentemente hanno lo stipendio lo stesso.
"Zero Dark Thirty" è nel gergo militare l'orario di 30 minuti dopo la mezzanotte. Nell'intenzione del film è per sottolineare il buio assoluto metaforico in cui sono avvenute le indagini su Bin Laden. Il nome dell'operazione che ha portato all'assalto al compound era "Neptune Spear". Quindi con questo titolo italiano farlocco, si vuole sottolineare che il film è basato su un'operazione  militare. Falso. Due ore e venti di film sono di indagini ed attività d'Intelligencee solo venti minuti di "azione".
Boicottiamo i titolisti italiani.

(La presente recensione è stata realizzata sulla versione in lingua originale del film.)


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Italia 2014. Sono trascorsi due anni dagli eventi de "La giusta decisione". Saverio Mora, l'analista dei Servizi Segreti italiani, e Matteo Giuliani, ex ufficiale del Col Moschin, oggi vivono le loro vite a centinaia di chilometri uno dall'altro, ignari delle circostanze che li stanno per travolgere.
Due storie parallele che condurranno il lettore nell'Iraq devastato dal ritiro delle truppe occidentali, in balia di Contractor corrotti coinvolti in traffici illeciti, e in una Italia dove i Servizi Segreti e i GIS dei Carabinieri tentano di sventare la devastante quanto concreta minaccia di un attentato terroristico. Xenofobia, voto agli immigrati e la dettagliata quotidianità dei Contractor in Iraq sono solo alcuni dei temi scottanti in cui il lettore si troverà catapultato, attraverso una trama ricca di azione e realismo tecnico fino al culmine di un finale emozionante e imprevedibile. Per maggiori informazioni su www.francescocotti.it