1.8.15

Prima Guerra del Golfo: 25 anni dopo

Breve storia di un disastro tutto Occidentale.

      Alle 2 del mattino del 2 agosto 1990 un’intera Divisione dell’Esercito iracheno oltrepassò i confini del vicino Kuwait con svariati mezzi corazzati. Il motivo di tale invasione fu giustificato da Baghdad con “irrisolvibili dispute di ordine economico e geografico”.
      Questa azione militare, che negli anni ’70 ed ’80 sarebbe passata quasi inosservata ai media data l’entità delle forze in campo e soprattutto delle parti coinvolte, creò quello che sarebbe stato definito “Il Nuovo Ordine Mondiale”.

      Sono passati venticinque anni da quel mattino di estate che avrebbe generato in risposta la più grande  Alleanza Militare e mobilitazione di mezzi militari dalla Seconda Guerra Mondiale e creando eventi storici che si stanno riverberando nel presente. Dal punto di vista della “persona comune” la Prima Guerra del Golfo (che iniziò ufficialmente il 17 Gennaio 1991) fu il primo conflitto con una copertura mediatica in tempo reale. Negli anni successivi si scoprì che fu l’operazione di propaganda mediatica più colossale della storia. I cittadini attraverso i network televisivi credevano di vedere (e comprendere…) lo svolgersi di una guerra che aveva dei retroscena politici enormi per tutto il Medio Oriente e come protagonista l’inarrestabile potenza della tecnologia militare americana. Anni dopo molti cronisti dissero di aver un po’ “esagerato” i loro report, di non aver verificato molte testimonianze e soprattutto di aver montato ad arte certi servizi, a partire da quello che documentò il presunto disastro ambientale operato da Saddam Hussein verso la fine del brevissimo conflitto. 

      In Italia come venne vissuta la Prima Guerra del Golfo? Ricordiamo tutti che proprio in quell’occasione nacquero il TG5 e le maratone mediatiche di Rete 4 della Finivest per seguire quasi in tempo reale il più grande conflitto mediatico di tutti i tempi. Gli italiani conobbero i volti segnati dell’equipaggio del Tornado abbattuto: “Bellini & Cocciolone”. Sempre citati in ordine alfabetico e sempre senza mai specificarne il grado militare ed il ruolo. Senza guardare su Google chi sa dire chi dei due era il pilota e chi il navigatore del velivolo abbattuto? Ma soprattutto che fine hanno fatto oggi? (avrete delle sorprese...) Abbiamo assistito al carosello di strafalcioni tecnici da parte dei giornalisti che (come al solito) si documentarono all’ultimissimo momento sulle tecnologie militari in uso. Al tempo non c’era Internet, quindi non avendo fonti “semplici e rapide” da cui attingere, fu una vera strage dell’ignoranza. Le riviste di settore, che videro decollare le vendite in un momento di particolare stagnazione del settore, con svariati articoli denunciarono le bestialità dette nei vari TG. Non che oggi i giornalisti siano tanto più bravi, eh? Google non perdona, se si fanno le ricerche sbagliate o affrettate. 

      Poi ci furono momenti memorabili di “alto giornalismo”. Ricordiamo tutti un iper-galvanizzato Emilio Fede, forte di una precedente ferrea esperienza in RAI, che sul TG4 orchestrava in maniera energica tutto il flusso di “notizie”. Famoso l’episodio in cui, arrivata la notizia in redazione durante la diretta dell’abbattimento di “Bellini&Cocciolone”, gli venne passato un foglio A4 con scritto sopra con un pennarello nero “TORNADO ABBATTUTO”. Ebbene, con solo a disposizione un foglio con sopra scarabocchiate due parole, riuscì a tenere l’audience per dieci interminabili minuti improvvisando notizie di Tornado in volo, missili terra-aria, piloti eiettati, praticamente a casaccio, ma facendo finta di leggere il foglio scarabocchiato. Al tempo quello fu considerato giornalismo di qualità condotto da un grande professionista (non è sarcasmo).

      Poi arrivarono i Patriot (i missili anti-missile), gli SCUD (nessuno si ricordò che quattro anni prima ne arrivarono due dalle parti di Lampedusa lanciati da Gheddafi), i missili Tomahawk che “sterzavano nelle strade” da quanto il loro sistema di guida fosse preciso, le bombe a guida laser e alla fine il Principe della Guerra del Golfo: “l’aereo invisibile” l’F117 Nighthawk.
      L’esercito di Saddam Hussein, che per mesi ci avevano ipnotizzato per inculcarci che fosse il “4° Esercito più potente al mondo” (aveva appena perso una guerra devastante di otto anni con l’Iran, però per gli “analisti” restava una minaccia militare appena inferiore alla Cina…), venne distrutto nel giro di qualche settimana dal rullo compressore di forze militari gestite dal Generale dal nome impronunciabile per i TG di mezzo mondo: Norman Schwarzkopf. Probabilmente l’ultimo generale americano che fu in grado di condurre una guerra, vincerla, e che intelligentemente si defilò immediatamente a vita privata ad operazioni concluse.  Il mondo esultò per George Bush (il padre…) che divenne il Leader mondiale per eccellenza, e l’America si guadagnò la copertina del TIME con il distintivo di Globocop: “Il poliziotto del mondo”. W l’America. Ricordo che la Prima Guerra del Golfo fu l’occasione dell’ultimo rigurgito di coloro che avevano simpatie sovietiche. L’apparente immobilismo sovietico durante tutta la Prima Guerra del Golfo venne interpretata come la fine di un Impero e di un sogno. Oggi Putin, con la sua politica estera leggermente aggressiva, ha ridato fiato a questi nostalgici. C’è sempre speranza per tutti… 

La Prima Guerra del Golfo mise le basi per il disgraziato presente che viviamo.

      Nell’estate 1990 un giovane miliardario saudita, un po’ avventuriero, un po’ “invasato di Credo Religioso”, che aveva speso un sacco di soldi per aiutare i “Fratelli Mussulmani” in Afghanistan contro l’invasione russa (con un deciso aiutino logistico della CIA), vide con pessimo occhio che del terreno così vicino alla Mecca fosse oggetto di una così alta concentrazione di soldati e soldatesse americani, di cui tutti di religione cristiana, quando non dichiaratamente atei. Questo giovane si chiese: “Ma perché il Grande Regno Saudita, dotato di mezzi militari potenti e recenti in grande quantità, chiama in aiuto dei non-mussulmani per liberare un piccolo paese mussulmano invaso ingiustamente?” quindi forte delle sue avventure militari in Afghanistan, che gli avevano fatto conquistare il titolo di “Grande Condottiero”, si rivolse al Re Saudita e si offrì di liberare il Kuwait al posto degli Americani, usando il suo Esercito di soli mussulmani, già testati contro i Russi. Il Re Saudita declinò l’offerta quasi umiliando il giovane miliardario. Quest’ultimo non la prese bene e decise di organizzare, qualche anno dopo, una serie di attentati sul suolo Saudita ai danni delle installazioni americane (ma facendo sempre stragi di suoi concittadini). Quindi, forte dei risultati mediatici di questi attentati, creò un “club esclusivo” di coloro che avrebbero voluto restituire il mondo arabo ai musulmani. In fondo Osama Bin Laden si sentiva nel giusto quando creò Al-Qaeida. 

      Nel 1991 Saddam Hussein, il Demone che per certi storici del tempo era da considerare anche peggio di Hitler, non venne spodestato dal potere. Il perché è ancora un fatto abbastanza dibattuto. La spiegazione ufficiale è che il mandato ONU prevedeva solo la liberazione del Kuwait e la distruzione di buona parte delle Forze Armate Irachene, ma non la deposizione coatta di Saddam Hussein. La realtà invece resta nella complessa politica della Regione. Abbattere nel 1991 Saddam Hussein avrebbe portato un po’ troppi malumori ad altri regnanti confinanti. Quindi ci si pensò dodici anni dopo, nel 2003, a tornarci per farlo fuori, con una guerra che aveva le giustificazioni più risibili della Storia. Le famose “armi di distruzione di massa”, che non furono mai veramente trovate. Per la cronaca anche noi italiani collaborammo in piccola parte, con un giro molto complicato di dossier inventati, a dar corpo a quella documentazione che lesse il povero Colin Powell (altro Protagonista della Prima Guerra del Golfo) nel famoso discorso sulle prove certe dell’esistenza dell’arsenale di armi chimiche di Saddam Hussein.

      Tra il 1991 ed il 2003 però avvennero tante cose in Iraq. Una fu la costituzione della famosa “no flight zone”, perché Saddam, nonostante la devastazione militare subita, aveva ancora abbastanza mezzi aerei per continuare massacrare i curdi nel Nord dell’Iraq (erano decenni che Saddam ogni tanto sterminava dei villaggi curdi, con grande gioia della Turchia). Si, proprio quei curdi che oggi sono un po’ tra il martello e l’incudine di Turchia, Siria e ISIS. Poi gli americani, dal 1992 in poi, finanziarono una ribellione della maggioranza sciita in Iraq, per cercare di creare una guerra civile per abbattere dall’interno Saddam Hussein e la sua dirigenza appartenente alla minoranza sunnita. Saddam aveva studiato poco, sembra che avesse finito a malapena l’equivalente delle  scuole elementari (ma scriveva poesie e favole per bambini e come tutti gli iracheni adorava i libri), però sapeva perfettamente come scovare dei leader di una ribellione. Fece una strage e gli americani semplicemente dissero: “Ops, ci abbiamo provato, dai…”. Il Presidente Clinton, per distrarre il mondo da quello che succedeva sotto la scrivania del suo ufficio, lanciò una salva di missili Tomahawk contro presunte fabbriche di armi chimiche. Numerose aziende alimentari irachene vennero incenerite quel giorno sotto la grandinata dei missili “intelligenti”. 

      Nonostante l’economia azzerata con le “sanzioni internazionali”, in qualche modo l’Iraq galleggiò fino al 2003. Quando George Bush Jr, che non aveva risolto nulla in due anni di Afghanistan alla ricerca di Bin Laden, decise che doveva finire il lavoro del padre. Otto anni di perdite civili e militari che hanno aperto la strada ad una corrotta ed inetta “””””””democrazia””””””a dirigenza sciita che si è vista in azione contro il nascente ISIS. Li hanno lasciati fare. Se qualcuno vuol fare l’azzardo di affermare “se ci fosse stato Saddam Hussein l’ISIS non sarebbe mai nato”, probabilmente avrebbe ragione. Saddam mal tollerava i movimenti “indipendentisti” di qualsiasi natura, sempre eufemisticamente parlando.

      Ho appena riassunto un quarto di secolo di Storia. Se oggi abbiamo una situazione “un po’ caotica” in quella “zona agitata del mondo” è perché l’Occidente, un po’ troppo schiavo del petrolio Saudita, ha gestito malissimo la reazione nei confronti di quei cingolati che venticinque anni fa attraversarono un invisibile confine nel deserto. Molti, oggi, dicono che i Sauditi avrebbero dovuto gestire la questione autonomamente. Ma erano troppo tentennanti. Avevano paura che Saddam, una volta preso quel fazzoletto di terra del Kuwait, e potenziatosi le sue riserve petrolifere, diventasse talmente influente da rompere le scatole anche a loro. C’era bisogno di gente che sapesse davvero ricacciarlo in Iraq, e al tempo la Monarchia Saudita valutò che da soli non potevano farlo. Nemmeno con l’aiuto dell’eccentrico, ma volenteroso, Osama Bin Laden. 

      Un quarto di secolo è passato, e in quella Regione le cose sono soltanto peggiorate. L’instabilità è l’unica certezza in un’area che ha a tutt’oggi grandi potenzialità energetiche che noi occidentali bramiamo con interesse. Però siamo molto riluttanti ad intervenire come abbiamo fatto nel 1991. In molti fanno osservare che basterebbe un quarto dei sistemi militari impiegati nel 1991 (nelle loro versioni upgradate di oggi) per spazzare via l’ISIS nel giro di qualche settimana (dimenticandosi che l’ISIS non ha caserme vere e proprie, non ha centri di comando ben definiti e non ha Divisioni corazzate da prendere a martellate dal cielo). La soluzione? Se osserviamo le azioni intraprese dal 2 agosto 1990 a oggi, direi che nessuno ha ben le idee chiare di come affrontare il problema nella Regione, perché siamo troppo dipendenti nelle decisioni politiche da chi alla fine ha i rubinetti del petrolio: l’Arabia Saudita. C’è un dettaglio su cui tutti sono d’accordo: siamo tutti in attesa della Terza Guerra del Golfo. Non sappiamo quando, ma sicuramente ci sarà. 
           
  

16.4.15

Recensione di Cuore di Rondine -Longanesi Editore-



Dopo quasi venticinque anni di ritardo rispetto alla letteratura anglosassone in Italia una casa editrice a livello nazionale ha capito che non è più tabù pubblicare biografie di militari ed ex-militari dei Reparti Speciali. Non è la prima, e non sarà l'ultima, ma per troppi anni, specie dalle case editrici minori ed indipendenti, abbiamo avuto pessimi libri, spesso di millantatori, che nelle loro "biografie" hanno inquinato la percezione che il grande pubblico ha delle Forze Speciali italiane. Cuore di Rondine invece è la prima vera biografia militare italiana degna di questo nome.

E' con grande curiosità ed interesse (non sono due sinonimi) che mi sono precipitato a leggere questo libro. Innanzitutto per il legame di stima che mi lega al Reparto e poi per capire come un Operatore del GIS, uno dei primi pilastri fondatori del Gruppo Intervento Speciale, poteva accingersi a raccogliere la sfida di raccontare 30 anni di storia italiana. Cuore di Rondine si snoda attraverso le vicende di cronaca più in vista dell'Italia dalla fine degli anni '70 al 2005. La rivolta del carcere di Trani, Il sequestro di Cesare Casella, l'operazione per il salvataggio di Patrizia Tacchella, i Serenissimi che assaltano il Campanile di P.zza San Marco e le attività più recenti a Nassiriya. Solo per citare alcuni episodi descritti nel libro e di cui Comandante Alfa, lo pseudonimo dietro cui si cela l'autore, che nonostante l'età anagrafica è ancora operativo presso il Reparto, è stato protagonista in prima persona.

Il libro è magnificamente scritto con la tecnica del “sliding flashback”, ovvero in una linea temporale narrativa ben definita (l’Iraq tra il 2004 ed il 2005), l’autore ricorda vari momenti della sua carriera operativa attraverso vari artifici narrativi. I momenti di solitudine in branda, oppure la voglia di condividere un episodio operativo significativo con le reclute irachene, sono tutti spunti per aprire capitoli di operazioni precedenti.
Lo stile di scrittura è una ventata di aria fresca rispetto ad altri libri di questo genere. Durante la lettura, infatti, specie nei capitoli meno operativi, ho avuto qualche dubbio sulla mano che ha realizzato il libro. Non è una mano completamente “maschile”. Lo stile non è diretto, ma nemmeno verboso. La descrizione delle emozioni provate dal Comandante Alfa durante la sua vita operativa è resa con una magnificenza letteraria che denota una sensibilità enorme nell’accarezzare ogni situazione. Ogni dubbio si scioglie quando arrivo ai ringraziamenti a fine libro: Stefania Piumarta è la talentuosa interfaccia letteraria tra le emozioni profondissime del Comandante Alfa e le parole scritte sul libro.

In certe parti la narrazione, specie nei dialoghi, è molto esplicita. L’ho apprezzato, a volte i termini volgari danno la giusta prospettiva e tensione per sottolineare le situazioni. Ma non esagera mai.
Le emozioni sono il pilastro solido su cui tutto il libro si regge. Emozioni per la lontananza dalla famiglia, il senso del dovere che scolpisce un giovane, irrequieto e disorientato Carabiniere ad inizio carriera in uno degli operatori del GIS fondamentali per il Reparto. I turbamenti per i colleghi persi negli anni e per ciò di cui è stato purtroppo testimone suo malgrado. Il rapporto speciale con il defunto Presidente Cossiga. C’è spazio anche per episodi divertenti, siparietti di distensione anche per il lettore. Una fra tutti: lo spassosissimo dialogo tra il Comandante Alfa ed il Serenissimo-Mimetico asserragliato sul campanile di Piazza San Marco.

Ci sono capitoli che sono veramente toccanti che da soli valgono l’intero libro, come quello dedicato alla liberazione di Patrizia Tacchella, che mette a nudo l’operatore in tutta la sua umana sensibilità. Ma cito solo questo. Il libro è pieno di passaggi che fanno salire un nodo in gola, descritti con straordinaria emozione.
Il libro è un semplice dialogo con il lettore. Cuore di Rondine non cade nella trappola di descrivere nei dettagli le operazioni del GIS. 
E’ un libro per far capire cos'è il GIS.
Dal punto di vista tecnico e delle tecnologie utilizzate dal Reparto il libro è perfetto: non scende in dettagli. Solo qualche sprazzo di descrizioni di tecniche operative a livello superficiale, ma più per coinvolgere il lettore nel visualizzare l'azione. Ho trovato solo un refuso in una sigla di un elicottero (CH45…), per il resto il lavoro di editing eseguito su questo manoscritto è stato eccezionale. Cosa rara.

Cuore di Rondine è un libro per tutti. Deve essere un libro per tutti. L’appassionato di “cose militari” non è il reale target di questa biografia. Il lettore tipo sarà quella persona che vuole capire cosa significa essere padre, soldato e manager di uomini e materiali, con responsabilità che vanno oltre l’immaginabile.
Le mie personali conclusioni sono quelle che abbiamo finalmente in Italia un bel libro, che consiglio vivamente (non sono stato pagato per scrivere questa recensione ;) ) di acquistare, di leggere e rileggere. Non capita spesso di fare quattro chiacchiere con un operatore del GIS. 

Si spera, a questo punto, che questa biografia possa vendere almeno 10.000 copie (che sarebbe un record stratosferico per un libro pubblicato solo in lingua italiana nel nostro svogliato panorama di lettori italiani) in modo da convincere magari di abbattere un altro tabù: finalmente fare un film *decente* su una biografia di un militare italiano. Per troppo tempo abbiamo subito pessime fiction e ancor peggio film sull'argomento. Forse Cuore di Rondine può essere quell'opera in grado di convincere dei produttori a farne un film. Non sarebbero soldi buttati via.

#iosonocuoredirondine