11.1.14

Recensione - LONE SURVIVOR



Questo film è tratto dall'omonimo libro biografico di  Marcus Luttrell e Patrick Robinson. La vicenda è piuttosto famosa, quindi con questa recensione non commetterò nessun spoiler.
 Giugno 2005: gli USA decidono di intensificare le operazioni di ricerca, identificazione ed eliminazione dei leader talebani in Afghanistan.
Una squadra di quattro SEALs è infiltrata in una zona montuosa per raccogliere informazioni su un capo militare talebano che ha un'enorme influenza nell'area. La squadra sarà compromessa perché scoperta in maniera casuale da dei pastori di montagna che avvertiranno i talebani. Ne scaturirà una battaglia in cui i quattro soldati dovranno difendersi da una soverchiante forza nemica. In tre moriranno,
mentre l'unico sopravvissuto (da qui il nome dell'opera) Marcus Luttrell sarà salvato, ospitato e difeso
dagli abitanti di un villaggio afghano che sono ostili ai talebani.
Gli eventi del libro da cui è tratto il film sono realmente accaduti.

L’opera cinematografica, dico subito, per i primi 100 minuti è una cronaca fedele del libro.
E' un film ben realizzato, pieno di dettagli tecnici coerenti e verosimili, con un cast di attori che non sarà sicuramente da Oscar, però riescono a portare sullo schermo in maniera convincente dei SEALs in combattimento. Lo spiegamento di mezzi aerei e delle Forze Armate USA durante tutto il film è notevole.
Solo il finale è un disastro completo, in cui Peter Berg, che per tutto il tempo si trattiene a rivelarsi di essere il regista di pessimi film precedenti (Hancock e Battleship su tutti), si scatena e quasi stravolge completamente il vero senso del libro.

La pellicola inizia con tre minuti circa di filmati di repertorio della selezione a cui sono sottoposte le reclute del corso BUD/S, il primo gradino per qualificarsi SEALs. Una parte preponderante del libro è dedicata proprio alla selezione, e in questi minuti introduttivi se ne cerca di coglierne il lato più impegnativo ed infernale per coloro che offrono volontari per affrontarlo.
Dopodiché la trama prosegue cercando di dare un'idea del cameratismo che esiste tra i quattro protagonisti e delle loro relative vicende private. Il regista ha solo venti minuti per farlo, ma direi che ci riesce efficacemente. Il film entra subito nel vivo, con il briefing per la missione, in cui appare per un cameo
proprio Luttrell in persona.
Il briefing è reso in maniera molto realistica. Una riunione in una stanza raffazzonata separata dal resto della base solo con pareti di legno sottile (l'onnipresente "plywood"), molti notebook, un videoproiettore commerciale che proietta su una parete della scarnissime slide di PowerPoint dove si discute ogni singolo dettaglio della missione in modo chiaro ed esaustivo. Per meglio descrivere lo svolgimento della missione ad un certo punto, su una mappa cartacea, vengono utilizzati dei modellini giocattolo di elicotteri. Nella realtà avviene proprio così: briefing chiari, spartani, accessibili ed esaustivi. Alla faccia dei briefing con
effetti speciali che si vedono in altri film della stessa categoria.

Una volta inseriti sulla montagna, la cui location è sorprendentemente fedele a quella descritta nel libro,
ovvero una zona montuosa, con vegetazione di conifere e dirupi rocciosi, i quattro SEALs presentano un equipaggiamento compatibile con quello che solitamente, nel 2005, erano consueti portare. L'estrema eterogeneità della buffetteria era, ed è, una caratteristica delle SOF sul campo. Dopo quasi dieci anni le uniformi rappresentate nel film, se paragonate a quelle attuali, sembrano davvero molto "vintage".

Non sto a discutere la scelta tattica che porta il comandante della pattuglia a liberare i pastori che li hanno scoperti. Nel libro Luttrell dichiara apertamente del fatto che avevano una paura maledetta di finire sulla CNN come assassini di civili e di venire processati alla Corte Marziale. Il libro è una lunghissima e pesante denuncia della politica "molle" americana che ha portato al disastro militare in Afghanistan, perché di fatto ha limitato fortemente le decisioni sul campo dei comandanti a qualsiasi livello.
Nel film questo discorso  è presente, anche se in forma più ammorbidita.

Una volta liberati i pastori, è solo questione di minuti che arrivi la sequenza chiave del film: la battaglia nel bosco. Dico subito che si tratta di trentacinque ininterrotti minuti di montaggio frenetico di uno scontro a fuoco molto ben realizzato che probabilmente sarà riconosciuto come una delle scene cult del cinema di guerra/azione.

Non ci sono commenti da fare particolari in questa scena, che effettivamente non espone il fianco a sequenze esagerate od inverosimili (aldilà della situazione assurda in cui si ritrovano i quattro soldati).
Un enorme plauso agli stuntmen. In due episodi distinti i soldati, per sfuggire al fuoco nemico, sono costretti a scivolare giù da una parete rocciosa ripida ed irta di rocce acuminate, massi sporgenti e tronchi d’albero. Per qualche decina di secondi i corpi dei SEALs, con un realismo che fa chiudere gli occhi più di una volta, rotolano senza controllo contro sassi, tronchi, asperità del terreno, fracassandosi ossa e procurandosi ferite orribili. Devo ancora capire se queste sequenze sono state realizzate con controfigure dotate di imbottiture speciali oppure con manichini animati particolarmente ben realizzati. Il film non mostra pietà, filtri o censure su come gli eventi e la battaglia segnano i SEALs.
Si vedranno i protagonisti perdere il controllo, piangere dal dolore e dalla frustrazione, combattere urlando e maledicendo il nemico. Morire con il corpo oltraggiato da decine di ferite realizzate con un realismo che lascia basiti. Ad esempio uno dei SEALs durante il combattimento colpisce violentemente il viso su una  roccia. Nei trentacinque minuti della battaglia metà del suo viso si gonfierà progressivamente col passare del tempo. C’è stata veramente una cura maniacale proprio nel mostrare lesioni che subiscono i soldati, esattamente come Luttrell le descrive sul libro.
Il film in America infatti è classificato come R-Restricted, più o meno l’equivalente elastico del nostro “Vietato ai minori di anni 18”.
Non ci sono altri commenti da fare sulla battaglia. Anche il sonoro è ben inserito (per quanto realizzato in  post-produzione) nel contesto del linguaggio cinematografico nella sequenza. I suoni delle varie armi, tipologie e modello, sono ben differenziati. 
Gli effetti surround sono efficacissimi per rendere l’idea di come i colpi impazzino in tutta la boscaglia. Per le armi non silenziate la fiammata è stata aggiunta in post-produzione, per compensare la scarsa vivacità delle cartucce a salve usate sul set.
Al solito gli RPG di Hollywood lasciano una bella scia bianca densa (lo spettatore deve capire chi ha lanciato, da dove e cosa) e creano esplosioni esagerate quando impattano, ma concediamolo, all’interno di questa pellicola. Nella realtà gli RPG sono un’arma piuttosto “odiata” appunto perché non lascia una scia tale durante il volo del razzo che possa evidenziare chiaramente la traiettoria ed il punto di origine.
Grande cura anche nella rappresentazioni delle armi, versioni di AR-15/M4 iper-customizzate in base alle esigenze dell’operatore, rese anonime da mimetizzazioni a spray realizzate a mano. Sorprendente la precisione con cui vengono riportate sullo schermo i reticoli di mira MIL-DOT dell’arma dello sniper ed il reticolo proprietario della Trijicon del suo ACOG. Solitamente in tutti i film certi dettagli sono rappresentati con reticoli semplificati che poco c’entrano con quello che si vede davvero quando si traguarda attraverso ottiche specifiche.

Altra sequenza notevole è la scena dell’abbattimento del Chinook della QRF (Quick Reaction Force) chiamata in extremis dal capopattuglia prima di morire. L’evento è accaduto realmente ed ha rappresentato fino al 2011 la maggior perdita contemporanea di soldati USA sul suolo afghano.
La scena è rapidissima, isterica ed è allo stesso tempo un pugno allo stomaco. Anche qui l’estremo realismo non fa capire dove inizia l’uso di modelli in scala 1:1 del Chinook e dove si stia usando sapientemente la computer grafica.

Finita la drammatica sequenza della battaglia, che è il fulcro vitale del film, Marcus ormai devastato dalle ferite, viene raccolto da un gruppo di abitanti di un villaggio vicino che si mostrano amichevoli.
Nel tempo in cui nel film sembra passare circa un giorno scarso (contro le svariate giornate descritte nel libro), il film scade completamente, prendendo una direzione da “sono Peter Berg: adesso comando io”.
Marcus si toglie una scheggia dalla gamba in una sequenza che un misto tra Predator ed il primo Terminator. La questione della differenza culturale tra la tribù afghana e Marcus è appena accennata.
I talebani arrivano al villaggio per prendersi il SEALs sopravvissuto e gli abitanti del villaggio imbastiscono  una battaglia  che fa impallidire le sequenze urbane di BlackHawk Down di Ridley Scott.
Arriva improvvisamente un AC-130 Gunship (utilizzato in pieno giorno contro ogni procedura vigente! Il dettaglio più irreale di tutto il film) ed un Apache solitario che a colpi di razzi e cannonate, riuscendo miracolosamente a distinguere sul terreno chi sono i talebani e chi sono gli abitanti del villaggio “buoni”,  respingono l’attacco. Appare una forza di estrazione modello Call Of Duty che recupera Marcus per esfiltrarlo via, non prima che si fermi per ringraziare il capo villaggio, che è stato traforato come una groviera per la battaglia coi talebani, ma in piedi e fiero come pochi, che accetta il ringraziamento con un dignitoso muto cenno del capo.
In questi diciassette minuti finali del film, dove l’urgenza di CHIUDERE la pellicola è tangibilissima, con
buchi narrativi enormi, si rovina quasi un film che nei primi 100 minuti è una drammatica, ed abbastanza fedele, cronaca del libro di Lutrell.

I titoli di coda sono un omaggio a  tutti gli uomini che sono morti per recuperare Marcus Luttrell,
utilizzando filmati e foto autentiche che li ritraggono.

Notevole la colonna sonora in tutto il film.

Sponsor ufficiale del film la Oakley: in ogni singola inquadratura (che non rappresenti i talebani) c'è almeno una volta il marchio ben visibile. Certamente è una linea di prodotti molto utilizzata dai militari, ma sono mostrati modelli di magliette, mutande (!!!), guanti tattici, scarponcini ed occhiali che nel 2005 non erano ancora in commercio con quel design. 

Lone Survivor, a parte il finale “stelle e strisce” un po’ differente da come Lutrell afferma nel suo libro, è un film sicuramente da andare a vedere.
E’ un film crudo, realistico, verosimile, ben realizzato.
Ragguardevole la quasi assenza di retorica pro-America. E’ un film ambiguamente non classificabile come di  pura propaganda (come il notevolissimo BlackHawk Down ed il pessimo/ridicolo Act of Valor).
Forse Lone Survivor fallisce, a causa nel voler puntare tutto sul realismo in tempo reale, nel comunicare allo spettatore ciò che davvero la guerra in Afghanistan e l’impegno americano, ha rappresentato in quella nazione.
Potrebbe essere un film perfettamente ambientato in un qualsiasi altro scenario ed “epoca”.
E’ un’occasione mancata di voler rappresentare una realtà oltre la battaglia fine a sé stessa.

(Recensione basata sulla versione cinematografica distribuita in USA, il film sarà nelle sale italiane a febbario 2014)