Questo film è
tratto dall'omonimo libro biografico di
Marcus Luttrell e Patrick Robinson. La vicenda è piuttosto famosa,
quindi con questa recensione non commetterò nessun spoiler.
Giugno 2005: gli USA decidono di intensificare
le operazioni di ricerca, identificazione ed eliminazione dei leader talebani
in Afghanistan.
Una squadra di
quattro SEALs è infiltrata in una zona montuosa per raccogliere informazioni su
un capo militare talebano che ha un'enorme influenza nell'area. La squadra sarà
compromessa perché scoperta in maniera casuale da dei pastori di montagna che
avvertiranno i talebani. Ne scaturirà una battaglia in cui i quattro soldati
dovranno difendersi da una soverchiante forza nemica. In tre moriranno,
mentre l'unico sopravvissuto
(da qui il nome dell'opera) Marcus Luttrell sarà salvato, ospitato e difeso
dagli abitanti di
un villaggio afghano che sono ostili ai talebani.
Gli eventi del
libro da cui è tratto il film sono realmente accaduti.
L’opera
cinematografica, dico subito, per i primi 100 minuti è una cronaca fedele del
libro.
E' un film ben
realizzato, pieno di dettagli tecnici coerenti e verosimili, con un cast di
attori che non sarà sicuramente da
Oscar, però riescono a portare sullo schermo in maniera convincente dei SEALs
in combattimento. Lo
spiegamento di mezzi aerei e delle Forze Armate USA durante tutto il film è
notevole.
Solo il finale è
un disastro completo, in cui Peter Berg, che per tutto il tempo si trattiene a
rivelarsi di essere il regista
di pessimi film precedenti (Hancock e Battleship su tutti), si scatena e quasi
stravolge completamente il
vero senso del libro.
La pellicola
inizia con tre minuti circa di filmati di repertorio della selezione a cui sono
sottoposte le reclute del corso
BUD/S, il primo gradino per qualificarsi SEALs. Una parte preponderante del
libro è dedicata proprio alla selezione, e in questi minuti introduttivi se ne
cerca di coglierne il lato più impegnativo ed
infernale per coloro che offrono volontari per affrontarlo.
Dopodiché la
trama prosegue cercando di dare un'idea del cameratismo che esiste tra i quattro
protagonisti e delle loro relative vicende private. Il regista ha solo venti
minuti per farlo, ma direi che ci riesce efficacemente. Il
film entra subito nel vivo, con il briefing per la missione, in cui appare per
un cameo
proprio Luttrell
in persona.
Il briefing è
reso in maniera molto realistica. Una riunione in una stanza raffazzonata
separata dal resto della base solo
con pareti di legno sottile (l'onnipresente "plywood"), molti notebook,
un videoproiettore commerciale che
proietta su una parete della scarnissime slide di PowerPoint dove si discute
ogni singolo dettaglio della missione in modo chiaro ed esaustivo. Per meglio
descrivere lo svolgimento della missione ad un certo punto, su una mappa cartacea, vengono utilizzati dei modellini giocattolo di elicotteri. Nella
realtà avviene proprio così: briefing chiari, spartani, accessibili ed
esaustivi. Alla faccia dei briefing con
effetti speciali
che si vedono in altri film della stessa categoria.
Una volta
inseriti sulla montagna, la cui location è sorprendentemente fedele a quella
descritta nel libro,
ovvero una zona
montuosa, con vegetazione di conifere e dirupi rocciosi, i quattro SEALs
presentano un equipaggiamento compatibile con quello che solitamente, nel 2005,
erano consueti portare. L'estrema eterogeneità
della buffetteria era, ed è, una caratteristica delle SOF sul campo. Dopo quasi dieci anni le uniformi rappresentate nel film, se paragonate a quelle attuali, sembrano davvero molto "vintage".
Non sto a
discutere la scelta tattica che porta il comandante della pattuglia a liberare
i pastori che li hanno scoperti. Nel
libro Luttrell dichiara apertamente del fatto che avevano una paura maledetta
di finire sulla CNN come assassini di civili e di venire processati alla Corte Marziale. Il libro è una lunghissima e
pesante denuncia della politica "molle" americana che ha
portato al disastro militare in Afghanistan, perché di fatto ha limitato fortemente le
decisioni sul campo dei comandanti a qualsiasi livello.
Nel film questo
discorso è presente, anche se in forma più
ammorbidita.
Una volta
liberati i pastori, è solo questione di minuti che arrivi la sequenza chiave
del film: la battaglia nel bosco. Dico
subito che si tratta di trentacinque ininterrotti minuti di montaggio frenetico
di uno scontro a fuoco
molto ben realizzato che probabilmente sarà riconosciuto come una delle scene
cult del cinema di guerra/azione.
Non ci sono
commenti da fare particolari in questa scena, che effettivamente non espone il
fianco a sequenze
esagerate od inverosimili (aldilà della situazione assurda in cui si ritrovano
i quattro soldati).
Un enorme plauso
agli stuntmen. In due episodi distinti i soldati, per sfuggire al fuoco nemico,
sono costretti a
scivolare giù da una parete rocciosa ripida ed irta di rocce acuminate, massi
sporgenti e tronchi d’albero. Per
qualche decina di secondi i corpi dei SEALs, con un realismo che fa chiudere
gli occhi più di una volta,
rotolano senza controllo contro sassi, tronchi, asperità del terreno,
fracassandosi ossa e procurandosi
ferite orribili. Devo ancora capire se queste sequenze sono state realizzate
con controfigure dotate di
imbottiture speciali oppure con manichini animati particolarmente ben
realizzati. Il film non
mostra pietà, filtri o censure su come gli eventi e la battaglia segnano i
SEALs.
Si vedranno i
protagonisti perdere il controllo, piangere dal dolore e dalla frustrazione,
combattere urlando e maledicendo il nemico. Morire con il corpo oltraggiato da decine di ferite realizzate
con un realismo che
lascia basiti. Ad esempio uno dei SEALs durante il combattimento colpisce violentemente il
viso su una roccia. Nei trentacinque minuti della battaglia metà del suo viso
si gonfierà progressivamente
col passare del tempo. C’è stata veramente una cura maniacale proprio nel
mostrare lesioni che subiscono i soldati, esattamente come Luttrell le descrive
sul libro.
Il film in
America infatti è classificato come R-Restricted, più o meno l’equivalente elastico
del nostro “Vietato ai minori di anni 18”.
Non ci sono altri
commenti da fare sulla battaglia. Anche il sonoro è ben inserito (per quanto
realizzato in post-produzione) nel contesto del linguaggio cinematografico
nella sequenza. I suoni delle varie armi, tipologie e modello, sono ben
differenziati.
Gli effetti
surround sono efficacissimi per rendere l’idea di come i colpi impazzino in
tutta la boscaglia. Per le armi non silenziate la fiammata è stata aggiunta in post-produzione, per compensare la scarsa vivacità delle cartucce a salve usate sul set.
Al solito gli RPG
di Hollywood lasciano una bella scia bianca densa (lo spettatore deve capire
chi ha lanciato, da dove e cosa) e creano esplosioni esagerate quando
impattano, ma concediamolo, all’interno di questa pellicola. Nella realtà gli
RPG sono un’arma piuttosto “odiata” appunto perché non lascia una scia tale
durante il volo del razzo che possa evidenziare chiaramente la traiettoria ed
il punto di origine.
Grande cura anche
nella rappresentazioni delle armi, versioni di AR-15/M4 iper-customizzate in
base alle esigenze
dell’operatore, rese anonime da mimetizzazioni a spray realizzate a mano.
Sorprendente la precisione con
cui vengono riportate sullo schermo i reticoli di mira MIL-DOT dell’arma dello
sniper ed il reticolo
proprietario della Trijicon del suo ACOG. Solitamente in tutti i film certi
dettagli sono rappresentati con
reticoli semplificati che poco c’entrano con quello che si vede davvero quando
si traguarda
attraverso ottiche specifiche.
Altra sequenza
notevole è la scena dell’abbattimento del Chinook della QRF (Quick Reaction
Force) chiamata in
extremis dal capopattuglia prima di morire. L’evento è accaduto realmente ed ha rappresentato
fino al 2011 la maggior perdita contemporanea di soldati USA sul suolo afghano.
La scena è
rapidissima, isterica ed è allo stesso tempo un pugno allo stomaco. Anche qui l’estremo
realismo non fa capire dove inizia l’uso di modelli in scala 1:1 del Chinook e
dove si stia usando
sapientemente la computer grafica.
Finita la
drammatica sequenza della battaglia, che è il fulcro vitale del film, Marcus
ormai devastato dalle ferite,
viene raccolto da un gruppo di abitanti di un villaggio vicino che si mostrano
amichevoli.
Nel tempo in cui
nel film sembra passare circa un giorno scarso (contro le svariate giornate
descritte nel libro), il film
scade completamente, prendendo una direzione da “sono Peter Berg: adesso
comando io”.
Marcus si toglie
una scheggia dalla gamba in una sequenza che un misto tra Predator ed il primo Terminator. La
questione della differenza culturale tra la tribù afghana e Marcus è appena
accennata.
I talebani
arrivano al villaggio per prendersi il SEALs sopravvissuto e gli abitanti del
villaggio imbastiscono una battaglia
che fa impallidire le sequenze urbane di BlackHawk Down di Ridley Scott.
Arriva
improvvisamente un AC-130 Gunship (utilizzato in pieno giorno contro ogni procedura vigente! Il dettaglio più irreale di tutto il film) ed un Apache solitario che a colpi di razzi e
cannonate, riuscendo
miracolosamente a distinguere sul terreno chi sono i talebani e chi sono gli
abitanti del villaggio “buoni”,
respingono l’attacco. Appare una forza di estrazione modello Call Of
Duty che recupera Marcus per esfiltrarlo via, non prima che si fermi per
ringraziare il capo villaggio, che è stato traforato come una groviera per la
battaglia coi talebani, ma in piedi e
fiero come pochi, che accetta il ringraziamento con un dignitoso muto cenno del
capo.
In questi
diciassette minuti finali del film, dove l’urgenza di CHIUDERE la pellicola è
tangibilissima, con
buchi narrativi
enormi, si rovina quasi un film che nei primi 100 minuti è una drammatica, ed
abbastanza fedele, cronaca del libro di Lutrell.
I titoli di coda
sono un omaggio a tutti gli uomini che
sono morti per recuperare Marcus Luttrell,
utilizzando
filmati e foto autentiche che li ritraggono.
Notevole la colonna sonora in tutto il film.
Sponsor ufficiale del film la Oakley: in ogni singola inquadratura (che non rappresenti i talebani) c'è almeno una volta il marchio ben visibile. Certamente è una linea di prodotti molto utilizzata dai militari, ma sono mostrati modelli di magliette, mutande (!!!), guanti tattici, scarponcini ed occhiali che nel 2005 non erano ancora in commercio con quel design.
Notevole la colonna sonora in tutto il film.
Sponsor ufficiale del film la Oakley: in ogni singola inquadratura (che non rappresenti i talebani) c'è almeno una volta il marchio ben visibile. Certamente è una linea di prodotti molto utilizzata dai militari, ma sono mostrati modelli di magliette, mutande (!!!), guanti tattici, scarponcini ed occhiali che nel 2005 non erano ancora in commercio con quel design.
Lone Survivor, a
parte il finale “stelle e strisce” un po’ differente da come Lutrell afferma
nel suo libro, è un film
sicuramente da andare a vedere.
E’ un film crudo,
realistico, verosimile, ben realizzato.
Ragguardevole la
quasi assenza di retorica pro-America. E’ un film ambiguamente non
classificabile come di pura propaganda (come il notevolissimo BlackHawk Down ed
il pessimo/ridicolo Act of Valor).
Forse Lone
Survivor fallisce, a causa nel voler puntare tutto sul realismo in tempo reale,
nel comunicare allo spettatore
ciò che davvero la guerra in Afghanistan e l’impegno americano, ha
rappresentato in quella
nazione.
Potrebbe essere
un film perfettamente ambientato in un qualsiasi altro scenario ed “epoca”.
E’ un’occasione
mancata di voler rappresentare una realtà oltre la battaglia fine a sé stessa.
(Recensione basata sulla versione cinematografica distribuita in USA, il film sarà nelle sale italiane a febbario 2014)