Alle 2 del mattino del 2 agosto 1990 un’intera Divisione dell’Esercito iracheno oltrepassò i confini del vicino Kuwait con svariati mezzi corazzati. Il motivo di tale invasione fu giustificato da Baghdad con “irrisolvibili dispute di ordine economico e geografico”.
Questa azione militare, che negli anni ’70 ed ’80 sarebbe passata quasi inosservata ai media data l’entità delle forze in campo e soprattutto delle parti coinvolte, creò quello che sarebbe stato definito “Il Nuovo Ordine Mondiale”.
Sono passati venticinque anni da quel mattino di estate che avrebbe generato in risposta la più grande Alleanza Militare e mobilitazione di mezzi militari dalla Seconda Guerra Mondiale e creando eventi storici che si stanno riverberando nel presente. Dal punto di vista della “persona comune” la Prima Guerra del Golfo (che iniziò ufficialmente il 17 Gennaio 1991) fu il primo conflitto con una copertura mediatica in tempo reale. Negli anni successivi si scoprì che fu l’operazione di propaganda mediatica più colossale della storia. I cittadini attraverso i network televisivi credevano di vedere (e comprendere…) lo svolgersi di una guerra che aveva dei retroscena politici enormi per tutto il Medio Oriente e come protagonista l’inarrestabile potenza della tecnologia militare americana. Anni dopo molti cronisti dissero di aver un po’ “esagerato” i loro report, di non aver verificato molte testimonianze e soprattutto di aver montato ad arte certi servizi, a partire da quello che documentò il presunto disastro ambientale operato da Saddam Hussein verso la fine del brevissimo conflitto.
In Italia come venne vissuta la Prima Guerra del Golfo? Ricordiamo tutti che proprio in quell’occasione nacquero il TG5 e le maratone mediatiche di Rete 4 della Finivest per seguire quasi in tempo reale il più grande conflitto mediatico di tutti i tempi. Gli italiani conobbero i volti segnati dell’equipaggio del Tornado abbattuto: “Bellini & Cocciolone”. Sempre citati in ordine alfabetico e sempre senza mai specificarne il grado militare ed il ruolo. Senza guardare su Google chi sa dire chi dei due era il pilota e chi il navigatore del velivolo abbattuto? Ma soprattutto che fine hanno fatto oggi? (avrete delle sorprese...) Abbiamo assistito al carosello di strafalcioni tecnici da parte dei giornalisti che (come al solito) si documentarono all’ultimissimo momento sulle tecnologie militari in uso. Al tempo non c’era Internet, quindi non avendo fonti “semplici e rapide” da cui attingere, fu una vera strage dell’ignoranza. Le riviste di settore, che videro decollare le vendite in un momento di particolare stagnazione del settore, con svariati articoli denunciarono le bestialità dette nei vari TG. Non che oggi i giornalisti siano tanto più bravi, eh? Google non perdona, se si fanno le ricerche sbagliate o affrettate.
Poi ci furono momenti memorabili di “alto giornalismo”. Ricordiamo tutti un iper-galvanizzato Emilio Fede, forte di una precedente ferrea esperienza in RAI, che sul TG4 orchestrava in maniera energica tutto il flusso di “notizie”. Famoso l’episodio in cui, arrivata la notizia in redazione durante la diretta dell’abbattimento di “Bellini&Cocciolone”, gli venne passato un foglio A4 con scritto sopra con un pennarello nero “TORNADO ABBATTUTO”. Ebbene, con solo a disposizione un foglio con sopra scarabocchiate due parole, riuscì a tenere l’audience per dieci interminabili minuti improvvisando notizie di Tornado in volo, missili terra-aria, piloti eiettati, praticamente a casaccio, ma facendo finta di leggere il foglio scarabocchiato. Al tempo quello fu considerato giornalismo di qualità condotto da un grande professionista (non è sarcasmo).
Poi arrivarono i Patriot (i missili anti-missile), gli SCUD (nessuno si ricordò che quattro anni prima ne arrivarono due dalle parti di Lampedusa lanciati da Gheddafi), i missili Tomahawk che “sterzavano nelle strade” da quanto il loro sistema di guida fosse preciso, le bombe a guida laser e alla fine il Principe della Guerra del Golfo: “l’aereo invisibile” l’F117 Nighthawk.
L’esercito di Saddam Hussein, che per mesi ci avevano ipnotizzato per inculcarci che fosse il “4° Esercito più potente al mondo” (aveva appena perso una guerra devastante di otto anni con l’Iran, però per gli “analisti” restava una minaccia militare appena inferiore alla Cina…), venne distrutto nel giro di qualche settimana dal rullo compressore di forze militari gestite dal Generale dal nome impronunciabile per i TG di mezzo mondo: Norman Schwarzkopf. Probabilmente l’ultimo generale americano che fu in grado di condurre una guerra, vincerla, e che intelligentemente si defilò immediatamente a vita privata ad operazioni concluse. Il mondo esultò per George Bush (il padre…) che divenne il Leader mondiale per eccellenza, e l’America si guadagnò la copertina del TIME con il distintivo di Globocop: “Il poliziotto del mondo”. W l’America. Ricordo che la Prima Guerra del Golfo fu l’occasione dell’ultimo rigurgito di coloro che avevano simpatie sovietiche. L’apparente immobilismo sovietico durante tutta la Prima Guerra del Golfo venne interpretata come la fine di un Impero e di un sogno. Oggi Putin, con la sua politica estera leggermente aggressiva, ha ridato fiato a questi nostalgici. C’è sempre speranza per tutti…
La Prima Guerra del Golfo mise le basi per il disgraziato presente che viviamo.
Nell’estate 1990 un giovane miliardario saudita, un po’ avventuriero, un po’ “invasato di Credo Religioso”, che aveva speso un sacco di soldi per aiutare i “Fratelli Mussulmani” in Afghanistan contro l’invasione russa (con un deciso aiutino logistico della CIA), vide con pessimo occhio che del terreno così vicino alla Mecca fosse oggetto di una così alta concentrazione di soldati e soldatesse americani, di cui tutti di religione cristiana, quando non dichiaratamente atei. Questo giovane si chiese: “Ma perché il Grande Regno Saudita, dotato di mezzi militari potenti e recenti in grande quantità, chiama in aiuto dei non-mussulmani per liberare un piccolo paese mussulmano invaso ingiustamente?” quindi forte delle sue avventure militari in Afghanistan, che gli avevano fatto conquistare il titolo di “Grande Condottiero”, si rivolse al Re Saudita e si offrì di liberare il Kuwait al posto degli Americani, usando il suo Esercito di soli mussulmani, già testati contro i Russi. Il Re Saudita declinò l’offerta quasi umiliando il giovane miliardario. Quest’ultimo non la prese bene e decise di organizzare, qualche anno dopo, una serie di attentati sul suolo Saudita ai danni delle installazioni americane (ma facendo sempre stragi di suoi concittadini). Quindi, forte dei risultati mediatici di questi attentati, creò un “club esclusivo” di coloro che avrebbero voluto restituire il mondo arabo ai musulmani. In fondo Osama Bin Laden si sentiva nel giusto quando creò Al-Qaeida.
Nel 1991 Saddam Hussein, il Demone che per certi storici del tempo era da considerare anche peggio di Hitler, non venne spodestato dal potere. Il perché è ancora un fatto abbastanza dibattuto. La spiegazione ufficiale è che il mandato ONU prevedeva solo la liberazione del Kuwait e la distruzione di buona parte delle Forze Armate Irachene, ma non la deposizione coatta di Saddam Hussein. La realtà invece resta nella complessa politica della Regione. Abbattere nel 1991 Saddam Hussein avrebbe portato un po’ troppi malumori ad altri regnanti confinanti. Quindi ci si pensò dodici anni dopo, nel 2003, a tornarci per farlo fuori, con una guerra che aveva le giustificazioni più risibili della Storia. Le famose “armi di distruzione di massa”, che non furono mai veramente trovate. Per la cronaca anche noi italiani collaborammo in piccola parte, con un giro molto complicato di dossier inventati, a dar corpo a quella documentazione che lesse il povero Colin Powell (altro Protagonista della Prima Guerra del Golfo) nel famoso discorso sulle prove certe dell’esistenza dell’arsenale di armi chimiche di Saddam Hussein.
Tra il 1991 ed il 2003 però avvennero tante cose in Iraq. Una fu la costituzione della famosa “no flight zone”, perché Saddam, nonostante la devastazione militare subita, aveva ancora abbastanza mezzi aerei per continuare massacrare i curdi nel Nord dell’Iraq (erano decenni che Saddam ogni tanto sterminava dei villaggi curdi, con grande gioia della Turchia). Si, proprio quei curdi che oggi sono un po’ tra il martello e l’incudine di Turchia, Siria e ISIS. Poi gli americani, dal 1992 in poi, finanziarono una ribellione della maggioranza sciita in Iraq, per cercare di creare una guerra civile per abbattere dall’interno Saddam Hussein e la sua dirigenza appartenente alla minoranza sunnita. Saddam aveva studiato poco, sembra che avesse finito a malapena l’equivalente delle scuole elementari (ma scriveva poesie e favole per bambini e come tutti gli iracheni adorava i libri), però sapeva perfettamente come scovare dei leader di una ribellione. Fece una strage e gli americani semplicemente dissero: “Ops, ci abbiamo provato, dai…”. Il Presidente Clinton, per distrarre il mondo da quello che succedeva sotto la scrivania del suo ufficio, lanciò una salva di missili Tomahawk contro presunte fabbriche di armi chimiche. Numerose aziende alimentari irachene vennero incenerite quel giorno sotto la grandinata dei missili “intelligenti”.
Nonostante l’economia azzerata con le “sanzioni internazionali”, in qualche modo l’Iraq galleggiò fino al 2003. Quando George Bush Jr, che non aveva risolto nulla in due anni di Afghanistan alla ricerca di Bin Laden, decise che doveva finire il lavoro del padre. Otto anni di perdite civili e militari che hanno aperto la strada ad una corrotta ed inetta “””””””democrazia””””””a dirigenza sciita che si è vista in azione contro il nascente ISIS. Li hanno lasciati fare. Se qualcuno vuol fare l’azzardo di affermare “se ci fosse stato Saddam Hussein l’ISIS non sarebbe mai nato”, probabilmente avrebbe ragione. Saddam mal tollerava i movimenti “indipendentisti” di qualsiasi natura, sempre eufemisticamente parlando.
Ho appena riassunto un quarto di secolo di Storia. Se oggi abbiamo una situazione “un po’ caotica” in quella “zona agitata del mondo” è perché l’Occidente, un po’ troppo schiavo del petrolio Saudita, ha gestito malissimo la reazione nei confronti di quei cingolati che venticinque anni fa attraversarono un invisibile confine nel deserto. Molti, oggi, dicono che i Sauditi avrebbero dovuto gestire la questione autonomamente. Ma erano troppo tentennanti. Avevano paura che Saddam, una volta preso quel fazzoletto di terra del Kuwait, e potenziatosi le sue riserve petrolifere, diventasse talmente influente da rompere le scatole anche a loro. C’era bisogno di gente che sapesse davvero ricacciarlo in Iraq, e al tempo la Monarchia Saudita valutò che da soli non potevano farlo. Nemmeno con l’aiuto dell’eccentrico, ma volenteroso, Osama Bin Laden.
Un quarto di secolo è passato, e in quella Regione le cose sono soltanto peggiorate. L’instabilità è l’unica certezza in un’area che ha a tutt’oggi grandi potenzialità energetiche che noi occidentali bramiamo con interesse. Però siamo molto riluttanti ad intervenire come abbiamo fatto nel 1991. In molti fanno osservare che basterebbe un quarto dei sistemi militari impiegati nel 1991 (nelle loro versioni upgradate di oggi) per spazzare via l’ISIS nel giro di qualche settimana (dimenticandosi che l’ISIS non ha caserme vere e proprie, non ha centri di comando ben definiti e non ha Divisioni corazzate da prendere a martellate dal cielo). La soluzione? Se osserviamo le azioni intraprese dal 2 agosto 1990 a oggi, direi che nessuno ha ben le idee chiare di come affrontare il problema nella Regione, perché siamo troppo dipendenti nelle decisioni politiche da chi alla fine ha i rubinetti del petrolio: l’Arabia Saudita. C’è un dettaglio su cui tutti sono d’accordo: siamo tutti in attesa della Terza Guerra del Golfo. Non sappiamo quando, ma sicuramente ci sarà.